GLOCAL di Ernesto Pappalardo »
La salita dei prezzi dei beni energetici, l’aumento a gennaio dell’indice dei prezzi al consumo – +0,6% su dicembre, +1,5% su gennaio 2024 – mettono insieme un buon panorama per capire come parte il 2025. A verificare bene le spinte deflazionistiche dei prezzi dei beni energetici (-0,7% da -2,8% di dicembre), la prevedibile, sostanziale accelerazione dei prezzi della componente regolamentata (+27,8% su base annua da +12,7%): insomma, questa situazione è andata a incrementare l’inflazione, anche con la permanenza di un clima non “tranquillo”sui prezzi del segmento alimentare (per i lavorati si è presto arrivati a 2,0% da +1,7%). E, infatti, a gennaio si coglie nei beni alimentari – il carrello della spesa – un incremento (1,8% su base annua a 1,7% del mese precedente). E’ l’Istat a confermare la decrescita della spinte deflazionistiche dei beni energetici a causa di una netta accelerazione dei prezzi della componente regolamentata, cioè le tariffe. In ascesa, per completare il quadro, anche i prezzi degli alimentari lavorati (da +1,7% a +2,0%).
A questo quadro già molto delineato, bisogna aggiungere quanto si è messo già in moto con l’aumento dei dazi a livello internazionale attivato dal presidente americano Trump. Partiamo da questa notizia per provare a renderci conto di quanto sta accadendo. Sono bastate poche ore dal suo insediamento perché Trump firmasse un ordine esecutivo per cambiare il nome della vetta più alta del continente americano da Denali, origine indigena (Alaska) a Mount McKinley, come era già nota in maniera ufficiale, fino a quando intervenne Obama nel 2015. Non era solo polemica politica quanto accadde. In realtà Trump in William McKinley ha individuato l’“uomo dei dazi”. Da deputato e presidente, sul finire del XIX secolo ha portato gli Stati Uniti sulla strada del protezionismo. “Il presidente McKinley – ha affermato Trump nel suo discorso inaugurale – ha reso il nostro Paese molto ricco grazie all’applicazione di misure tariffarie e al talento”. Ma è evidente che Trump pensa che l’aumento delle tariffe possa sostenere la produzione americana e alimentare gli sgravi fiscali a basso costo, con gli stranieri con un costoso conto addosso.
La strada aperta da McKinley è effettivamente valida? Una constatazione: durante l’ultima battaglia di Trump contro l’industria manifatturiera cinese (2018-2019), i prezzi degli articoli aumentarono di circa un punto percentuale con un aumento delle accise. Un aumento dei prezzi potrebbe fare partire un’impennata (a breve termine) dell’inflazione, ma non un aumento costante. Molti esperti hanno sostenuto che le tariffe erodono il potere di spesa dei consumatori e che il calo dei consumi di prodotti nazionali mette in campo una disinflazione compensativa. Ma si corre comunque il rischio che si possano innescare una spirale di prezzi, oltre che salari in salita. Alla Lileeva della York University e Daniel Trefler dell’Università di Toronto “hanno scoperto che la riduzione delle tariffe americane alla fine degli anni ’80 e ’90 ha spinto le fabbriche canadesi, precedentemente meno produttive, a innovare di più, ad adottare tecnologie avanzate e, di conseguenza, ad aumentare la produttività dei loro lavoratori. I regimi tariffari tendono inoltre a essere pieni di esenzioni, che le imprese più avvedute imparano a sfruttare, mentre i loro lobbisti cercano di ottenere ulteriori deroghe. L’amore di Trump per la distribuzione di favori potrebbe causare un problema particolare a questo proposito”.
L’entusiasmo di McKinley per il protezionismo rallentò. “Non dobbiamo adagiarci nella fantasiosa sicurezza di poter sempre vendere tutto e comprare poco o niente”, disse a Buffalo, New York, nel 1901, prima di sottolineare che “le guerre commerciali non sono redditizie”. Trump ci ragionerà su questa grande verità?
Ernesto Pappalardo

Donald Trump