I numeri dell'economia »
di Mariano Ragusa
Parole, frasi, persino slogan. Tutte dotate di valenza simbolica, prescrittiva, ordinatoria. Ne abbiamo ascoltate (e replicate) tante nell’arco ancora inconcluso della Pandemia. Proviamo a rileggerle ed a rianalizzarle per capire come si è dato e si cerca di dare senso allo sconvolgimento causato dal Covid 19.
Andrà tutto bene.
Lo abbiamo cantato dai balconi delle case diventate prigioni nei mesi duri del lockdown; lo hanno ripetuto ossessivamente conduttori televisivi e gli spot pubblicitari (quei pochi andati in onda vista la paralisi del mercato). Rassicurazione ed auto-rassicurazione rivolte ad un nebuloso futuro migliore. Le cose andavano tutt’altro che bene. Alla conta delle vittime l’Italia ne ha annoverate oltre 130.000 sin dall’inizio dell’epidemia. Non andava tutto bene negli ospedali e reparti di terapia intensiva. Caricare di paura la paura, intensificare il senso di smarrimento. La regola dei media non ha rivisto, in quei giorni, se stessa benché a prevalere fosse la logica istituzionale del “rassicurare”.
In quei giorni un quotidiano del Nord pubblica con invadente rilievo la notizia di una circolare, diramata dai vertici medico-amministrativi di una Asl, in base alla quale andava applicato un criterio selettivo per somministrare le cure in terapia intensiva. In brutale sintesi: prima i più giovani, poi i vecchi. Selezione socio-anagrafica dettata dalle limitate risorse sanitarie. Molti si scandalizzarono. Altri, pur con quale remora morale, avvertirono che “in emergenza il medico è sempre chiamato ad una scelta impietosa”. Appunto, impietosa ma non meno agghiacciante ed inaccettabile. La notizia non ebbe vita lunga. Il sistema dei media la ignorò. Solo un piccolo accenno per narcotizzarla in una trasmissione di inchiesta (fascia notturna) di Raitre. Il tema sotteso al caso “scandalistico” c’era tutto. L’inefficienza strutturale del nostro sistema sanitario aggravata dalla straordinarietà dell’imprevedibile pandemia.
“Andrà tutto bene” è l’implicita – pur non premeditata – promessa della magistratura sull’esito della mega-inchiesta avviata nel Bergamasco sulla gestione della pandemia a partire dalla strage di anziani nelle Rsa. Blitz, sequestri di atti e cartelle cliniche, interrogatori. Un gran lavoro. Infinito. Due anni di inchiesta. Speranze di giustizia per i congiunti dei morti per il virus; Giustizia alla ricerca della ragionevole identificazione delle responsabilità penali traducibili in sanzioni.
Nei giorni scorsi sono spuntati documenti che tratteggiano lo scenario delle “colpe”. L’Oms già ai primi di febbraio 2020 – è emersa una nota dell’Organismo internazionale – aveva raccomandato di procedere ai lockdown in contesti territoriali come quello del Bergamasco. Il lockdown è venuto molti mesi dopo e con molte vittime già sul campo.
Lo strumento penale schierato contro il virus sta agendo nel classico contesto della maxi-inchiesta. Che amplia la catena delle responsabilità da individuare con la difficoltà aggiuntiva di un oggetto d’indagine (la pandemia e i suoi vari attori) complesso proprio sul tema responsabilità. Carlo Nordio, ex magistrato, ha evidenziato questa difficoltà. Tutti colpevoli o nessun colpevole. O magari anche “qualche colpevole” per non chiudere nel nulla mesi di lavoro giudiziario. Sarà giustizia o scelta del capro espiatorio? Lo dirà un processo al di là delle ipotesi dell’accusa.
In attesa di risposte, resta la domanda. Cosa sono stati quei 131.000 morti? Quale senso è possibile attribuire a quella mattanza? Danni collaterali? Effetti di un rischio ingovernabile? Già, il rischio…
Rischio ragionato.
E’ il premier Mario Draghi a mettere la locuzione sul tavolo della comunicazione pubblica per spiegare la ratio che ha guidato il piano delle riaperture allargate. Il messaggio è chiaro e persino benefico. Il rischio zero non esiste, la componente rischio esiste comunque. La palla passa alla responsabilità dei singoli, delle società, e delle istituzioni cui spetta l’onore di stabilire (e far rispettare) le regole del gioco. L’approccio riflette la “lezione” che al fondo il Covid 19 ha impartito. L’imponderabile, l’imprevisto sono materia viva di esperienza umana nel tempo della velocità che revoca ogni fondamento di certezza e stabilità.
La sicurezza assoluta è il lockdown: una non-vita. La sicurezza assoluta, con lo sguardo rivolto al “dopo” e nella prospettiva di controllo preventivo di quell’imponderabile, è solo un sistema totalitario ed invasivo di sorveglianza affidata alla tecnologia ed agli algoritmi. Anche questa un non-vita. La via mediana è la più giusta ma assolutamente complicata. Mobile. Friabile. Fa salvo il principio di Libertà e la forma più adeguata della sua manifestazione che è la Democrazia. Entrambe le istanze potrebbero avere esigenze di rivisitazione. Ne segnala l’esigenza il rischio “non ragionato”, anzi irrazionale reso concreto dall’azione dei No vax. Minoranza, certo.
Ma c’è un ventre oscuro delle società che tiene in incubazione embrioni di insofferenza all’idea stessa delle regole. Rivisitare Libertà e Democrazia non per ridurre. Piuttosto per ricostruire gli elementi di bilanciamento (e di limite) tra i diritti di tutti, che pure sono impressi nelle Costituzioni ma che decenni di turbocapitalismo e sfrenato liberismo hanno oscurato e travolto. Modelli colpiti dal Covid che ha imposto un cambio di marcia verso un governo della globalizzazione. Rivisitare Libertà e Democrazia perché sostanzialmente vivono e si espongono al rischio (di auto annullarsi). Si può governare quale rischio ampliandone al massimo i confini a tutto il mondo. Oppure tornare, non appena il virus sembrerà assopirsi, alle politiche dei muri, dei sovranismi, delle nazioni. Due strade, stesso obiettivo: governare il rischio. Due strade divergenti. E contrapposte. Il rischio ragionato comincia dalla scelta.
Green pass .
E’ la materializzazione del “rischio ragionato”. Funzionalità e retorica politica (a favore e contro) intorno alla strumento scelto per la ripresa si inseguono e si intrecciano nel discorso pubblico e nel suo luogo naturale dei talk show. Al di là delle regole e dei benefici profili tecnico-sanitari, proviamo ad assumere il Green pass come metafora della stagione politica che stiamo attraversando. Da questa angolazione cosa è il Green pass?
Mettiamola semplicisticamente così: un passaporto per la (potenziale e progressiva) normalità della vita e delle attività in cui essa si esprime. Il governo Draghi non è solo il governo del Green pass giustamente imposto agli italiani per fermare l’invadenza del contagio. C’è un non secondario aspetto politico del Green pass draghiano. E’ il passaporto del Paese per l’Europa, il quadrante delle carte in regola per accedere al ricco tesoretto stanziato con il Pnrr.
Un cambio di passo rispetto al tempo di un altro governo tecnico (guidato da Mario Monti). In quella stagione provvedimenti, anche dolorosi (chiedere alla Grecia ma anche alla nostra stessa Italia) erano adottati e resi operativi perché “lo vuole l’Europa”. Oggi è lo stesso. Vuole l’Europa che i fondi del Recovery plan cadano nelle maglie di un Paese capace di efficienza di spesa e risultati nelle realizzazioni. Lo vuole l’Europa ma in contesto di apertura, “magnanimità”, compartecipazione e reciprocità tra gli Stati membri, maturato a causa della Pandemia. Il green pass che Draghi sta modellando per il Paese è quel complesso di riforme formalizzate in Disegni di legge promossi dal governo. Ad oggi se ne contano ventuno, alcuni acclusi alla legge di Bilancio. Lavoro ad ampio raggio: pubblica amministrazione, digitalizzazione, concorrenza, giustizia penale, Autonomia differenziata ed altro ancora. Idee messe sulla carta e strutturate in vista di una esecutività che sarà scandita dal dibattito parlamentare e dai decreti attuativi.
Il Green pass di Draghi è – nelle intenzioni buone – il vestito per la festa che il premier pone all’Italia per presentarla all’Europa. Senza quello si resta nudi. Come sarà indossato, come saranno adattate le pur prevedibili grinze e difetti è materia di prova. Tutta politica. Che maturerà tra orientamenti dei partiti e dibattito parlamentare. Ma anche di adattabilità del Paese concreto alle nuove regole.
Sul cammino c’è già qualche No vax della politica: i duri e puri di Fratelli d’Italia e quelli a giorni alterni della Lega quando è il solo Salvini in scena. “Rischio ragionato”, sosterranno gli ardenti esegeti del premier. Quelli che troverebbero plausibile raccontare Draghi e il suo governo come la materializzazione dell’“Andrà tutto bene” recitato durante il lockdown. Ma sappiamo che sarà solo una suggestione letteraria, una distorsione ottica, un gioco di salotto. Perché invece i fatti, come diceva quel tale, hanno la testa dura…

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