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Come fare per “ripensare” Napoli in maniera coraggiosa e poco retorica?
Le città dell’Europa che verrà, tra identità e diversità
Pur conservando lo stesso nome, avranno una funzionalità di rete legata a densità urbane diffuse ed aperte, senza “ideologie” per essere capitali di qualcosa. La storia del passato e la speranza del futuro.

di Pasquale Persico

Il rimprovero di Carlo Bastasin agli imprenditori italiani riguarda le loro aspettative al ribasso sull’uso dei fondi del Recovey Fund. Per lui,  l’Italia dovrebbe  liberarsi dall’idea (Made in Italy) di poter fare le cose che faceva nel secolo appena trascorso;  la transizione ecologica porterà ad un riuso del territorio anche in termini di agricoltura e ruralità urbana; una rivoluzione biodinamica rileggerà le risorse naturali e le loro potenzialità, nuovi processi di fermentazione rivoluzioneranno la dipendenza dalle proteine animali, la manifattura diventa industria, cioè una nuova capacità di vedere la catena del valore che produce il bene, dove materialità ed immaterialità non vivono più sotto la stessa capanna. L’abitare per l’industria manifatturiera e dei servizi richiederà una rivoluzione del concetto di città e molte delle professioni suggeriranno ai loro protagonisti di abitare temporaneamente in più luoghi. Il coraggio di voler affrontare problematiche innovative dovrà prevalere sulla retorica delle cose da fare pensando a conservare, prima, le poche rendite di posizioni acquisite.

Noi possiamo scegliere Napoli e seguire le raccomandazioni degli imprenditori napoletani sulle cose da fare per la città come esempio per arrivare alle stesse conclusioni di Bastanin. Maurizio Manfellotto, presidente dell’Unione Industriali di Napoli, dichiara che Napoli e la Campania hanno una propensione alta a poter utilizzare i tre assi strategici del piano europeo (digitalizzazione, innovazione e transizione ecologica), accenna ai temi dello sviluppo poggiato sulla città metropolitana,  per rifare, poi, l’elenco dei progetti sospesi che riguardano soprattutto la città di Napoli e le aspettative a breve. L’attenzione alla città di Napoli prende forma quando egli fa appello al sindaco che verrà per provare a “rifare lo sciampo” (Gaber) all’ex capitale del Mezzogiorno Mediterraneo. Ma siamo sicuri, più in generale, che la nuova leadership che si formerà con l’elezione del sindaco di Napoli sia l’unica componente-chiave per la rinascita della città?

Vi deve essere, come affermo sempre più spesso, un coro di imprenditori e di cittadini capaci di interpretare lo slogan proposto da tempo: devo morire (Napoli Capitale) per far nascere mia Madre (la città metropolitana allargata a più centri di nuova vitalità manifatturiera).

Le macroaree europee subiranno una rivoluzione territoriale incredibile, la geografia funzionale, legata all’integrazione delle nuove reti di produzione e distribuzione, aggredirà le identità territoriali e soltanto una rinnovata efficacia dello stato regolatore potrà far vivere una nuova stagione alla vitalità urbana di molte città campane, riposizionando la loro identità. Il miraggio della legge salva-Comuni, ipotizzata per Napoli ed altre città, e l’annuncio di nuovi decreti-sostegni, connessi all’uso delle risorse europee, influenzano non poco le aspettative degli imprenditori, facendole, probabilmente, ritornare indietro.

Ad esempio, la tenace  presidente dell’Ance napoletana, Federica Brancaccio, pur annunciando che una vision di città deve essere il filtro per selezionare i progetti, nel parlare di quelli potenziali, “restringe” il perimetro della sua proposta territoriale. Certo, sarà utile parlare delle periferie – Scampia, Napoli Est e Bagnoli – ma occorrerebbe dichiarare obsoleti gli approcci progettuali in campo, essi rischiano di diventare una tara territoriale pesante per parlare di futuro metropolitano.  L’elenco delle idee progettuali da finanziare per Bagnoli, per il centro storico di Napoli e per l’Albergo dei Poveri  è un esempio sulle cose da non fare, pensando alla transizione ecologica in termini di rigenerazione urbana di area vasta.

Non a caso, la  presidente Ance si sofferma fortemente sulla obsolescenza dello strumento urbanistico napoletano, ma diventa necessario,  però, evidenziare l’approccio “miope” della Regione sulla possibilità di aggregare la pianificazione urbanistica dei diversi Comuni. Così si rinuncia alla progettazione degli standard di area vasta connessi all’immaterialità strategica dello sviluppo economico.

La densità strategica delle nuove reti di città dipenderà da come verranno connessi gli standard urbani materiali a quelli immateriali, a partire dai settori che influenzano la produttività totale dei fattori: sanità, formazione e mobilità di merci e persone.  Occorre, quindi, entrare nello specifico, a cominciare dal processo di assegnazione del bando di assistenza tecnica del Piano Metropolitano.

Come fare, allora, a ripensare alla città di Napoli  in maniera coraggiosa e poco retorica?

E’ il processo politico e culturale che manca, la pandemia ha fatto tabula rasa di molti luoghi comuni, ma le rendite di posizione potrebbero ritornare prepotentemente in campo. Arriveranno i nuovi candidati a sindaco Metropolitano e di Napoli,  verrà rilanciato il solito Napoli-capitale-di qualcosa,  ma manca ancora un ragionamento vero e proprio sulla rivoluzione culturale da fare e sul modo di vedere la città che verrà.

La metamorfosi di Napoli dovrà essere profonda e non potrà dipendere soltanto dalla visone del sindaco di Napoli. Egli dovrà battersi per invocare la necessità di un sindaco metropolitano differente da lui, capace di risvegliare Napoli dentro una visione di macroarea a funzionalità policentrica moderna. Dovrà emergere una idea forte,  nella nuova visione di una politica economica del Continente Europeo, poggiata e sostenuta dagli Stati nazionali di nuova concezione, cioè capaci di essere in rete per guadagnare economie di scala territoriale (come nel caso della pandemia) ed economie di scopo (l’accesso ai nuovi diritti universali) .

Le città dell’Europa che verrà, pur conservando lo stesso nome, avranno una funzionalità di rete legata alle nuove densità urbane diffuse ed aperte,  senza l’ideologia e la retorica di essere capitali di qualcosa, ma percepite come tesori urbani di nuove identità, dentro la ricchezza del paradigma identità e diversità , che meglio rappresenta la storia del passato e la speranza della storia futura.

 

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Pasquale Persico
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