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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

La differenza degli importi percepiti conferma una “geografia” della crescita ancora troppo disomogenea.
L’antico ritardo delle aree interne
I redditi più bassi in provincia di Salerno si registrano nel comprensorio del Calore/Alburni/Tanagro e Alto-Medio Sele (media totale annua: 11.997 euro).

Questo articolo è stato pubblicato nella sua versione originale sul quotidiano Il Mattino (edizione Salerno) sabato 25 marzo 2019.

di Paolo Coccorese e Ernesto Pappalardo

La ripartizione delle fonti di reddito in provincia di Salerno (vedi altro articolo in questa newsletter di SalernoEconomy) riflette il quadro regionale e nazionale, ma le differenze degli importi percepiti tra l’area del capoluogo e – soprattutto – le zone interne confermano una volta di più i confini di una “geografia” della crescita socio-economica ancora troppo disomogenea e lontana dalla capacità di esprimere per intero le potenzialità insite in modelli di sviluppo che stentano ad affermarsi. Per intenderci, la città capoluogo mantiene la leadership in tutte le diverse tipologie di reddito (a partire dal reddito medio totale: 22.673 euro). Il lavoro dipendente a Salerno genera una media annua pro capite di 21.735 euro, anche se ha subito una decurtazione di 880 euro nel periodo 2012-2017. Prima posizione anche per i redditi da pensione (con 20.534 euro), per i redditi da lavoro autonomo (37.371) e per quelli da attività imprenditoriali (20.507). Di contro, però, i redditi più bassi si localizzano nel comprensorio del Calore/Alburni/Tanagro e Alto-Medio Sele (il cui reddito medio totale annuo è 11.997 euro). In questo caso il reddito da lavoro dipendente ammonta a 13.342 euro, quello da pensione a 11.450 euro e quello da lavoro autonomo 25.246 euro, mentre per il reddito da attività imprenditoriali il dato è di 12.550 euro. D’altro canto, basta dare uno sguardo alle percentuali relative al reddito da pensione per comprendere bene come nei comprensori non affacciati sulla linea di costa sia più difficile entrare in dinamiche strutturali proattive.

Ma entriamo nel merito dei numeri delle singole sub-aree provinciali. La percentuale più alta di redditi per lavoro dipendente si ravvisa nelle Valli dell’Irno e del Picentino (59%), quella più bassa a Salerno-città (47%): evidente nel caso del capoluogo – tra le altre motivazioni che non mancano –  il crollo negli ultimi anni del tessuto industriale-manifatturiero ed il mancato turn over nella Pubblica Amministrazione. Mentre Agro Nocerino Sarnese (58,6%) e Piana del Sele (56,6%) hanno – da questi punti di vista – probabilmente retto meglio.

Sul versante dei percettori di pensione svettano Calore/Alburni/Tanagro e Alto-Medio Sele (39,7% del totale, la percentuale più alta in provincia di Salerno) ed il Cilento e Vallo di Diano (37,9%), confermando una composizione anagrafica della popolazione caratterizzata da una forte presenza di over 60-65. Per quanto concerne il lavoro autonomo, è il capoluogo ad esprimere la percentuale più alta di percettori – il 6,3% – mentre molto distaccati sono gli altri comprensori. Nel caso del reddito da attività imprenditoriali le percentuali più consistenti si posizionano nel Cilento e Vallo di Diano (4,4%) ed in Costa d’Amalfi (4,3%) con un evidente influsso della vocazione turistica.

Proprio questa “fotografia” rafforza, quindi, la necessità da parte della filiera istituzionale di “ascoltare” meglio le istanze che in questi ultimi anni sono andate delineandosi in quei territori che hanno avviato – grazie anche al contributo di giovani qualificati e intenzionati a non allontanarsi dai luoghi di origine – una profonda trasformazione del rapporto agricoltura/turismo(i). Come pure la valorizzazione degli effetti a cascata (ancora non percepibili) di non pochi casi di manifatturiero green ed export-oriented appare distante da una messa a sistema indispensabile.

 

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