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Aiutare la “risalita” green, scelta necessaria per la prevenzione dei rischi ambientali e sanitari.
La natura? E’ il vero architetto del territorio
“Nell’intervista da me realizzata qualche anno fa a Maria Cristina Treu si anticipava l’esigenza di una visione coordinata delle reti di città come infrastruttura del paesaggio resiliente e competitivo. Mi è sembrato giusto riproporla in questo momento per rilanciare il tema delle macroregioni, sollecitando una condivisione operativa”.

di Pasquale Persico

Il passaggio dal paradigma “identità e sviluppo” a quello di “identità plurale e diversità resiliente” è apparso all’orizzonte dopo l’accordo per il “recovery fund”. Nonostante la visione drammatica che la comunicazione dei media ha rappresentato durante il vertice Ue, l’Europa ha intrapreso un cammino innovativo, non facile da perseguire, un compromesso istituzionale dinamico; la parola solidarietà ha ispirato nuove reciprocità tra nazioni ed obbliga i Paesi a rilanciare il tema delle “macroregioni” per una condivisione operativa dei temi di politica economica europea. E’ per questa ragione che ripropongo un ragionamento lungo tre incontri. Il percorso, paradossalmente e non a caso, comincerà dialogando con i moderati situazionisti che hanno a cuore la Macroregione del Nord’Italia. La pandemia ha messo in risalto che la nascita di un coordinamento tra regioni del Nord è necessario per parlare di sanità, ricerca, infrastrutture strategiche e aggiornamento tecnologico; deve potere emergere la strategia per affrontare la crisi, che, ben sviluppata, aiuterà anche i temi da focalizzare per il Mezzogiorno. Qualche anno fa in una mia intervista, che appariva visionaria, a Maria Cristina Treu, già si parlava di Grande Bergamo e Grande Milano, si anticipava, così, l’esigenza di una visione coordinata delle reti di città come infrastruttura del paesaggio resiliente e competitivo. L’idea di ripartire dalle eco-regioni era già maturata per inquadrare i temi del riposizionamento dell’assetto urbanistico del Nord, dando alla natura la responsabilità di aiutare la risalita green, oggi necessaria anche come tema di prevenzione dai rischi ambientali e sanitari, oltre che come necessità per una economia resiliente, efficace ed efficiente. Mi è sembrato giusto riproporre l’intervista e riprendere la riflessione sui temi in essa affrontati.

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Ecco l’intervista (2014) a Maria Cristina Treu – Ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano – con i riferimenti a Milano (e la città del quinto paesaggio) ed alla Grande Bergamo come immagine e riferimento evolutivo necessario all’intera Pianura Padana, con le sue eco-regioni oggi definite a livello europeo (vedi recenti aggiornamenti Istat).

di Pasquale Persico

Milano è stata definita dal cav. Bassetti e dalla sua Fondazione la città liquida per eccellenza, quasi a voler ribadire la propensione rivelata da Leonardo di essere città centro di molte funzioni in maniera efficacia ed efficiente; lei, invece, da qualche anno ribadisce che vi è una domanda crescente di città non soddisfatta che va nella direzione opposta.

“Forse sono ancora troppo innamorata del mio lavoro di studiosa, essere urbanista oggi è anche sapere soffrire con la speranza che si possa ripensare al territorio e alla città. La dilatazione degli aggregati urbani sta procurando uno spaesamento; i margini della città si moltiplicano e non sono solo più fuori della città pensata come propria identità. La civiltà di un popolo, la sua voglia di appartenenza si è frammentata fino a sentirsi dentro il processo di incuria e di devastazione delle aree terze della città, non più campagna né più città”.

Lei da qualche anno richiama l’attenzione sul pericolo di un uso del suolo, “il paesaggio e la città che dovrebbero essere la più alta espressione dell’essere umano e della sua volontà e capacità di organizzare la società, hanno perso soggettività politica ed istituzionale” . Questo suo concetto contiene anche la speranza della ripartenza . . .

“La perdita di policentrismo della Lombardia è un segno di perdita di densità dei centri minori, il tessuto che si fa città ha perso senso e la città piccola come territorio che è Milano si atteggia a città-Regione, mentre anche altri capoluoghi di provincia tentano la carta della grande città (vedi grande Bergamo). Tutto questo avviene mentre non si è in grado di soddisfare la domanda semplice di città: case, mobilità, benessere. Il tempo liberato che la società post-industriale stava concedendo, oggi abbonda per altri motivi drammatici (la scarsa domanda di lavoro) e  non riesce a diventare tesoro disponibile per le espressività che la città dovrebbe sviluppare e per il capitale sociale che il territorio potrebbe accumulare”.

Eppure le si è cimentata spesso su un argomento difficile da praticare. L’architettura/bellezza quanto è sostenibile oggi?

“Il paradigma sulla città del passato ci ha trasferito questo concetto, la città ed il paesaggio italiano sono stati e forse ancora sono, in comparazione relativa, un catalogo da studiare e capire per trasferire dal passato tutto quello che è necessario a rigenerare la speranza della metamorfosi del paesaggio senza identità che si sta moltiplicando. Il ripensare alla città deve poter essere la produzione di pensieri connessi alla bellezza del paesaggio complessivo che la città contribuisce a produrre anche come contrasto artificiale al progetto della Natura. Perché un artificiale poetico e funzionale non deve essere progettato come senso dell’area vasta? Non sto facendo il solito pensiero legato all’utopia necessaria all’urbanista, ma un ragionamento sulla necessità di risalire come società che vive il territorio sul sentiero della consapevolezza fino a sviluppare una nuova cognitività sui temi dei beni pubblici irrinunciabili. La riflessione con lo sguardo lungo dei poeti dovrebbe riguardare, perciò, l’uso del suolo e la possibilità di una risalita dei temi profondi relativi al paesaggio da fare vivere alle comunità allargate.

Come vede, parlo della concretezza del  reale, il quotidiano dello spazio accanto, spesso temuto, deve stare dentro al tema della città desiderata. Il concetto di qualità della vita è legato alla qualità percepita nel luogo dove si vive e non in quello da raggiungere. Come Eduardo Souto De Mura, l’architetto portoghese, vorrei parlare di case come professione dell’urbanista e dell’architetto, la casa del poeta, la casa dello scrittore, la casa dell’artista, la casa dello scalatore in pensione, la casa dell’economista utopista etc sono argomenti scomparsi dai dibattiti sulla città. Dov’è la casa di Ariosto e perché la commissionò a ottanta anni di età, quale era il suo desiderio di città? La vita è breve e  lunga, deve essere l’arte di costruire  città come infrastrutture complesse e a soggettività differenziate!”

Capisco, allora, le sue preoccupazioni per l’ex area Ticino, l’area Garibaldi e le tante che oggi sono in discussioni connesse all’opportunità di Expo’ 2015.

“Vede, da qualche notte ho un sogno liberatorio e di apprendimento, che deresponsabilizza tutti noi urbanisti, mi aiuta a definire quello che dovrà essere una linea di ricerca da praticare. Nel sogno la Natura con la sua forza e la sua bellezza riprende il suo ruolo di Architetto del territorio. La velocità del Suo progetto è inusitata e  diventa percepibile a tutti: le attività dell’uomo sembrano rallentare e la Natura si riprende il suo spazio. I costi del costruire dell’uomo diventano insostenibili per la nuova velocità dei progetti della Natura, la città di Milano diventa quinto paesaggio.

Il bello della storia riappare, la persistenza delle architetture pensate è l’ultima cosa che la Natura nasconde; per un periodo visivo persistente si ha la possibilità di individuare il concetto di quinto paesaggio, il punto della ripartenza consapevole. Per un periodo riconoscibile Milano appare come melograno d’amore immerso nella Natura e si fa città in ripartenza, Milano nuovamente piccola, umile, consapevole, città del quinto paesaggio con la possibilità di diventare città della storia e della storia contemporanea senza la paura di perdere la capacità di essere ancora città. Il terzo paesaggio di Gill Clement  a Milano è in piena regressione ed il quarto di cui parla lei e C. Blasi è oramai una impossibilità. Rimane solo l’ipotesi di una sottrazione forzata dalla natura ed una ripartenza consapevole: l’utopia del quinto paesaggio non deve essere una nostalgia ma pensiero del terzo apprendimento, cioè revisione completa delle cornici concettuali in cui cammina l’urbanistica”.

Non ha fatto cenno alle opportunità di riposizionamento della città legate  a Expò 2015, implicite nella mia domanda.

“Il sogno a cui ho accennato può essere interpretato anche come esercizio di ecologia della mente, una sorta di lezione fondamentale di ecologia dell’architettura e dell’urbanistica. Vede, anche sul piano delle discipline, Architettura, Urbanistica e pianificazione del Paesaggio si sono separate perdendo anch’esse soggettività politica, accademica e esterna. Il sogno della sottrazione affidato alla Natura ribadisce la casualità della nascita dell’uomo e dei suoi progetti, l’apparente forza dell’uomo di saper vedere il passato, il presente ed il futuro è oggi una debolezza evidente.

L’uomo  ha perso capacità di apprendimento dalla Natura, il rurale non vive più accanto all’agricoltura e questa appare industria in difficoltà; l’artificiale non sa andare incontro ai deboli e la risalita non parte mai dal margine. Ecco, la progettazione relativa ad Expo’ parla genericamente di verde ed in maniera marginale, un errore commesso anche da me quando ho parlato di Grande Bergamo; la parola verde è invece piena di colori desiderati ed indesiderati, non siamo più capaci di distinguere le piante pioniere da quelle dei vivai, è come se avessimo perso la capacità di distinguere la forza e la bellezza della natura e confondessimo Capri con Ischia”.

Perché questo riferimento?

“Capri non è un’isola, i geologi lo sanno; Tiberio non lo sapeva, lo sapeva Cesare e si innamorò di Ischia. Le loro case hanno un rapporto diverso con il territorio. Costruire isole d’amore con la Natura che ti aiuta e case di comunità a identità multipla è la possibilità che manca ed Expo’; la sua scomparsa dall’immaginario collettivo (i recenti sondaggi) come progetto di risalita, è legata alla governance di potere ed alla mancanza di identità profonda dei progetti; ma proprio questo limite negativo è anche la speranza che la città del quinto paesaggio possa avere una prospettiva di ricerca”.

La ricerca partirà, allora, dopo il 2015?

“I napoletani trasformano facilmente i sogni in numeri, noi che abbiamo alle nostre spalle le Alpi  sappiamo che i sogni indicano strade da percorrere e camminare nella città del quinto paesaggio è una ecologia disciplinare necessaria, domani incontrerò degli studenti per la tesi e gli parlerò del sogno, sono sicura:  il loro sorriso indicherà una voglia di nuova ricerca”.

Oggi chiederei ancora: Ma, allora, ha già materiali per il dopo Covid 19 e per la macroarea padana inserita nelle eco-regioni europee in termini di investimenti strategici coerenti con il riassetto urbanistico?

 

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Pasquale Persico
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