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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Ricordi del 2 giugno in una piccola località della Costiera Amalfitana negli anni del dopoguerra.
La giusta lezione della democrazia, monito prevalente
“Passeggiarono tutti insieme, in un raggio di sole così delicato che regalava ottimismo, distendeva ogni cosa, fino a fare immaginare che il mondo nuovo era davvero iniziato. Bastava avere fiducia e credere che si poteva vivere e progredire”.

Nella mente di tutti gli abitanti di quel posto così particolare – in provincia di Salerno, a pochi chilometri da Amalfi – si attendeva con entusiasmo la festa del 2 giugno. In molti ricordavano le prime elezioni che si erano svolte dopo ventidue anni di regime fascista. Dalle urne del ‘24 si erano, finalmente, ritrovati in quelle del ’46. Quante cose erano cambiate. Quella volta ai cittadini italiani – di ambo i sessi e con un’età superiore a 21 anni – furono consegnate due schede: una per il referendum istituzionale (Monarchia o Repubblica) e un’altra per l’elezione dei deputati all’Assemblea Costituente. Era questo l’organismo che avrebbe, poi, dovuto occuparsi di porre mano alla Costituzione.

In quelle giornate sul lungomare, dove era sorto un pontile ad opera degli americani, non pochi ragionavano di politica e della svolta democratica che si era realizzata in Italia. C’era anche, tra le tante persone che si preparavano a vedere la bandiera tricolore protagonista di quella giornata e di tante altre ancora, un giovane salernitano che da alcuni anni era giunto in quel paesino della Costiera per seguire la moglie, amalfitana, destinata ad occupare un posto pubblico importante. Il giovane si soffermava in quelle ore a riflettere su come l’Italia repubblicana disegnasse un nuovo futuro, certamente migliore di quello che tanti di loro si erano trovati davanti  solo pochi anni prima.

Ora tutto sembrava e poteva essere diverso, così appariva, mentre pensava al figlioletto piccolo, nato qualche anno prima.

Non perse tempo quella mattina del 2 giugno. Andò nella sezione del partito di cui era il segretario, in quella località piccola ma così densa di vita e di passione politica, e insieme con alcuni amici prese la bandiera. Non quella tricolore, che avrebbe portato il sindaco, ma quella che identificava tutti gli iscritti con l’idea che aveva preso forma negli anni difficili appena passati. Era una bandiera che ora rappresentava per loro tante cose, che apriva la mente a immaginare la realizzazione di valori come democrazia, giustizia, libertà.

Era così che si svolgeva quella mattinata in quel pezzo di Sud bellissimo e antico, abituato a vedere negli occhi di tanti stranieri – inglesi e americani, tra mille altri – il manifestarsi della sorpresa per tutto quello splendore compreso tra mare e rocce, in quelle case o piccoli alberghi sopraffatti dai raggi di un sole che raccontava miti e leggende.

Con la bandiera – appoggiata sulla spalla – che non voleva cedere a nessuno, iniziò, uscendo dalla piccola sede del partito, a camminare senza più parlare, senza rendersi conto che dietro e accanto a lui erano all’improvviso arrivati tutti i suoi compagni di idee. Sognatori, soprattutto, di un’Italia migliore, aperta e attenta al futuro che passava piano piano in quella mattinata di giugno, mentre abbracciava la Costiera e la faceva sentire al centro del mondo intero.

Passeggiarono tutti insieme, quasi abbracciati in quel raggio di sole così delicato che regalava ottimismo, distendeva ogni cosa, fino a fare immaginare che il mondo nuovo era davvero iniziato. Bastava avere fiducia e credere che si poteva costruire per vivere e progredire.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

 

 

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Tricolore
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