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I numeri dell'economia »

In Campania ora la crisi fa aumentare le famiglie povere

Banca d’Italia. Il Rapporto sulle economie regionali evidenzia una situazione di grave difficoltà La congiuntura economica ha provocato un trend negativo superiore alle altre aree del Paese Si riduce anche la capacità di accumulare ricchezza, in rallentamento le percentuali di crescita Il “focus” dedicato all’economia della Campania all’interno del Rapporto sulle Economie Regionali, curato dalla Banca d’Italia, evidenzia come nella nostra regione l’impatto della crisi sulle condizioni economiche delle famiglie sia stato più marcato rispetto al resto del Paese. Già tra il 2007 ed il 2010 la quota di famiglie senza alcun componente occupato era salita di quasi sei punti percentuali, attestandosi al 27,1 per cento delle famiglie con almeno un componente di età compresa tra i 18 e i 60 anni (escludendo gli studenti a tempo pieno fino ai 24 anni di età). Tale incremento risultava superiore di due punti percentuali rispetto alla media nazionale. Nello stesso momento la costante discesa del livello dei consumi ha evidenziato la diffusione di una crescente povertà. Nel triennio 2008-2010, la quota delle famiglie campane con un livello di spesa pro capite inferiore alla media italiana (c.d. soglia di povertà relativa) è stata in media del 24,5 per cento, registrando un peggioramento di oltre un punto rispetto al periodo 2002-2007; nel resto del Paese la quota è invece rimasta pressoché stabile. Ma il peggioramento della situazione economica delle famiglie campane è testimoniato anche dall’aumento dell’incidenza delle famiglie con un livello di consumi reali inferiore alla soglia di povertà riferita al 2007. Tale quota, tra il periodo 2002-2007 e il 2008-2010 è salita di oltre tre punti percentuali in Campania (dal 24,4 al 27,8 per cento), mentre è aumentata di circa due punti nel Mezzogiorno e di circa mezzo punto in Italia. Ma a “soffrire” non sono solo le famiglie più povere, ma anche le tipologie familiari con un livello di spesa inizialmente elevato. Risulta, infatti, drasticamente ridotto il grado di disuguaglianza nei livelli di spesa tra le varie tipologie familiari. In generale, secondo l’Indagine sui consumi delle famiglie dell’Istat, tra il 2007 ed il 2010 la spesa mensile media di un nucleo familiare, valutata a prezzi costanti e tenendo conto dei cambiamenti nella composizione dei nuclei, ha subito una riduzione del 4,7 per cento in Italia (pari a -88 euro in valore assoluto), dell’8,6 per cento nel Mezzogiorno (-121 euro) e del 12 per cento in Campania (-167 euro). La riduzione, per i campani, ha interessato quasi tutte le componenti della spesa, ma ha colpito con minore intensità i beni di prima necessità. In particolare, sempre nel periodo tra il 2007 e il 2010, l’incidenza delle spese per l’abitazione e per i generi alimentari è cresciuta rispettivamente di circa due e un punto percentuale, mentre si è ridotta di un punto la componente di spesa per trasporti, di un punto e mezzo la quota rappresentata dall’acquisto di beni e servizi per la casa, e di circa mezzo punto ciascuno quella delle spese per la salute e per il tempo libero. Né il ricorso, da parte delle famiglie campane, agli stock di ricchezza accumulata ha consentito il mantenimento del livello dei consumi anche in presenza di un calo del reddito disponibile. In base a elaborazioni preliminari, si stima che alla fine del 2010, in Campania, la ricchezza netta delle famiglie consumatrici e produttrici fosse pari a circa 600 miliardi di euro, il 6,9 per cento del totale nazionale, con una ricchezza netta pro capite pari a poco più di 100mila euro, un valore compreso tra quello delle regioni meridionali e la media nazionale e pari a 8,2 volte il reddito disponibile, così come nel resto del Paese. Ma l’incremento di tale ricchezza che, a prezzi correnti, tra il 2002 ed il 2007 era stato pari al 7,7 per cento medio all’anno, ha subito un brusco rallentamento nel triennio successivo, registrando un incremento di solo l’1,5 per cento. Il motivo di tale frenata risiede, in buona parte, anche dall’arresto degli aumenti dei prezzi degli immobili nel triennio 2008 – 2010. In Campania le abitazioni di proprietà rappresentavano l’81,6 per cento della ricchezza reale, quota di poco inferiore alla media italiana. Lo stock di capitale, costituito da fabbricati non residenziali, impianti, macchinari e attrezzature, scorte e avviamento, incideva per circa il 15 per cento, come nelle altre regioni meridionali. Secondo i dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia del Territorio, in Campania, tra il 2002 e il 2007, l’incremento medio annuo dei prezzi delle case è stato del 10 per cento, mentre nel triennio successivo il livello dei prezzi è rimasto sostanzialmente invariato. Nello stesso periodo il ritmo di crescita della superficie abitativa complessiva è stato invece molto più modesto di quello dei prezzi (1,5 per cento, in media all’anno). Mario Gallo

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