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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

La riscoperta dei nostri “mondi” sommersi dalla corsa a ritmi insostenibili può esserci molto utile.
Il sogno “glocale” al tempo del covid
Con ansia proviamo a guardare avanti e vediamo “racconti” che non riusciamo bene a decodificare perché sono in tanti a “giocare” la loro partita con un solo obiettivo: continuare a dominare, sfruttare, ricavare sempre il massimo perché non hanno alcuna intenzione di indebolire le loro posizioni dominanti.

E’ del tutto evidente che la crisi generata dal coronavirus ha attivato – con una forte accelerazione – una serie di cambiamenti per così dire “strutturali” sia di breve che di media e lunga durata. L’intervento di Aldo Bonomi, pubblicato lo scorso 4 aprile, che riproponiamo integralmente nella nostra newsletter di questa settimana, offre la possibilità di percepire nitidamente lo sconvolgimento con il quale ci confrontiamo e continueremo a confrontarci per non poco tempo. Il recupero dell’appartenenza alle micro-comunità – che, poi, messe insieme formano, è bene ricordarlo (sempre), le macro e maxi comunità glocali (mai come in questa circostanza glocali anche quando, interagendo tra di loro, si definiscono globali) – è il passaggio chiave per ritrovare le tracce di quel percorso che ci porta fino in fondo alla “geografia” di “che cosa siamo diventati”.

Se ci poniamo una domanda precisa in queste giornate “interiorizzate” – ma che cosa siamo diventati? – emergono tante risposte, non una sola. Tra quelle sempre più presenti, si afferma la consapevolezza che siamo diventati davvero micro-stazioni ricetrasmittenti, agganciate al filo di una rete che molto spesso gioca a rintracciare i simboli di un passato/divenire per costruire tracce di futuro. Quale futuro? Forse è questo l’inganno contemporaneo più avvincente: convincersi che siamo tutti in un futuro che ancora non c’è e che, pure, si è anticipato in qualche modo ben solido e concreto.

E mentre questo avvicendarsi di gente inseguiva in ogni modo – molto inconsapevolmente nella maggior parte dei casi – un nuovo mondo (futuro?) che non c’era ancora (ma, forse, già c’era), arriva il coronavirus ad evidenziarci che, in realtà, abbiamo bisogno di stare fermi. Di stare a casa per recuperare la buona sostanza di tutto quello che, in fondo, ancora siamo e che stavamo perdendo per strada. O, forse, anche questa è solo una sensazione che, però, prende sempre più forma. Ci fa guardare indietro, mentre con ansia proviamo a guardare avanti e vediamo “racconti” che non riusciamo bene a decodificare perché sono in tanti a “giocare” la loro partita con un solo obiettivo: come continuare a dominare, a sfruttare, a ricavare sempre il massimo dal contesto perché non hanno alcuna intenzione di indebolire le loro posizioni di potere.

Molto in fondo, dietro, tra gli ultimi rimangono le vere forze che si caricheranno, come sempre, le debolezze annichilenti del nuovo mondo che è già venuto. Debolezze che somigliano non poco a quelle di tanti altri secoli trascorsi. I forti, quelli che potranno dire di avere dominato le forze del coronavirus, saranno sempre là a ricordarci che continuano a essere forti (e a comandare), a dettare le (nuove) regole, a spingere i tasti del dominio economico e finanziario.

C’è da meravigliarsi? In fondo no. Ma la riscoperta dei nostri “mondi” sommersi dalla corsa contro il tempo può esserci molto utile. Può ridimensionare tante vanità, tante grossolanità, tante sfide in realtà improponibili. E dare fiato all’unica, vera e irrinunciabile “ricostruzione” che, pure, appare ancora fattibile. La ricostruzione, cioè, di quella realtà personale – e, naturalmente, di comunità – che ci conferirebbe più forza proprio nel momento nel quale ne abbiamo davvero bisogno.

E’ solo un sogno, per carità. Ma se accadesse, sarebbe bellissimo.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

 

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