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Il punto di Arpocrate di Pasquale Persico/Il discorso di Papa Francesco a Budapest, Draghi e il G20 allargato.

Dopo Mosul , nuovamente la fragilità ed il coraggio di Papa Francesco riemergono a Budapest; egli non parla solo ai dodici milioni di cattolici, ma al mondo intero, a quella parte  ostile  in particolare: tutti dobbiamo avere più coraggio. Il coraggio, di cui si parla nell’omelia commentata, è quello di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione, infruttuose e sterili. La cultura di un modo di pensare pacifico, deve emergere, perché basato sulla giustizia, partendo dal rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, facendo crescere l’impegno a collaborare per il bene comune plurale. Vi è poi il tema della perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. “Non abbiate paura!”, questo è il messaggio che il successore di Pietro desidera consegnare al mondo che crede anche alla sua missione, ma paradossalmente anche al mondo ostile (ad esempio i seguaci di Orban in Europa). Diventare un “ponte di dialogo” e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Il parallelismo con la missione di Draghi nel G20 allargato è possibile ed a me è apparso come racconto da reinterpretare; nell’omelia viene evidenziata la necessità di una svolta.
La scena, di cui si parla nell’omelia, si svolge mentre Gesù è in viaggio con i discepoli attraverso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, una città pagana di frontiera, all’estremo Nord di Israele. Lungo il viaggio, Gesù interroga i discepoli, domandando loro che cosa pensasse le gente della sua persona, chiedendo ad essi: «La gente chi dice che io sia?», e poi: «Ma voi, chi dite che io sia?», sollecitando  una risposta non per sentito dire da altri, ma impegnando i discepoli a raccontare la loro esperienza personale.

Per Draghi il percorso che lo porta al G20 deve sciogliere questo stesso nodo politico, interrogando ogni giorno coloro che credono di potere avere il coraggio di dare un contributo nella direzione auspicata,  per  superare le sofferenze del presente, fino a superare la fase cruciale della crisi politica di oggi: fare emergere la fragilità dell’Europa insieme con  il coraggio dell’intrapresa da svolgere a livello globale.

L’essere discepoli, diventare seguaci di Cristo è qualcosa di estremamente serio, una questione di riuscita o di fallimento totale dell’esistenza, dice il Papa.

Per  Draghi essere oggi seguaci di una “credenza” – l’Europa come patria – in un mondo in continua evoluzione, è argomento di una nuova realtà da affrontare con perseveranza; è il problema richiamato dal Papa con altre metafore, che ci fanno  interrogare su quale salvezza aspettiamo, e  in quale orizzonte prospettiamo la nostra vita. Se l’orizzonte è solo il tempo presente, senza dare peso al dopo del  tempo attuale, allora ci basta un “salvatore” finto, per le cose immediate – possiamo dire per la pancia – un “salvatore” del giorno prima; se, invece, diamo ascolto alle attese più profonde del nostro essere, allora l’impegno politico si moltiplica e dobbiamo rispondere alla domanda di Draghi, che ricorda anche la domanda del messia ai discepoli sul loro coraggio: “Ma voi, chi dite che io sia?”. E  la risposta banale,  non può essere, per Draghi,  né il solo futuro presidente del consiglio,  e nemmeno,  il  solo futuro presidente della Repubblica.


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