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Nel romanzo di J. M. Coetzee – Waiting for the Barbarians (prima edizione in Italia nel 1983) – il tema dominante è “l’indefinito”. Non sappiamo quale sia “l’Impero” nel quale si svolgono le vicende: intravediamo soltanto “la frontiera” dove una comunità di ex coloni finisce per trovarsi al centro di una campagna militare per controllare “i barbari” che vivono nelle terre desertiche di confine. Lo stesso tempo storico è assai vago, ma, intuitivamente, molto vicino a noi. Il protagonista principale non ha nome e lo conosciamo soltanto attraverso la sua funzione di “magistrato” o “ministro”. Mai si conosceranno le ragioni che inducono la «Terza Divisione» della guardia civile, comandata da un colonnello, a militarizzare la frontiera. Il magistrato stesso non arriverà mai a comprenderne motivazione o necessità impellenti. Sono i barbari che non capiamo? Il magistrato confessa di non aver mai desiderato altro che “una vita tranquilla in tempi tranquilli”, cioè una vita non appartenente a nessun tempo.
Ecco, noi europei, non riusciamo tutti insieme a capire che in questa epoca storica siamo diventati una comunità residua, che attende pertanto l’imminente arrivo dei barbari nell’avamposto “privo di qualsiasi difesa”; ma per l’Italia questi famosi emigranti continueranno ad arrivare, non a fermarsi. Più cresce la paura, più la temuta invasione diventa una minaccia fantasma, un’attesa macchiata “di colpe e stupori” per l’irruzione della storia nel nostro tempo immobile, nell’oasi in cui crediamo di essere.
Il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati riproduce gli stessi temi, lo scenario della “frontiera”, l’oscura minaccia che incombe, identico il punto di vista da un avamposto al confine con i territori nemici, estremamente simili le atmosfere di attesa indeterminata che caratterizzano le due opere, moltissimi i paralleli fra azioni e personaggi che possono essere ricavati da una lettura incrociata.
Ecco che ascoltando la cronaca del dibattito tra Paesi europei e l’Italia sul tema dei nemici emigranti che chiedono aiuto, ho l’impressione che i barbari vivono in Europa e sono regrediti cronicamente, nel capire la storia economica che li circonda.
Le economie dei continenti stanno facendo emergere il contraddetto non in maniera lineare ma complesso, e questa complessità avrebbe bisogno di una riflessione profonda, a cominciare dalla lettura del grande teatro della vita, che già si offre a chi ha il pensiero aperto alla conoscenza e vuole superarsi con la mente e con i comportamenti.