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Il Punto di Arpocrate di Pasquale Persico/Camus e tutti gli scritti di Simon Weil, un archivio completo.

La caratteristica info-comunicativa è emersa durante la presentazione del libro di Don Fernando Barra – “Le città di Simon Weil”, Guida ed. – proposta da Annibale Elia, fondatore della primo corso di Scienze della Comunicazione in Italia, e dal Prof. Don Lucio Sembrano, docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Albert Camus, hanno ribadito i tre protagonisti della presentazione, fece raccogliere gli scritti sparsi della filosofa da Gallimard, perché, per lui, lei fu semplicemente “l’unico grande spirito libero del nostro tempo”. La forza di Simone Weil sta proprio in un pensiero personale frutto di esperienze e studi molto diversi, che tengono insieme la lettura critica di Marx, i testi di Sofocle, l’amore per Platone e una tensione verso il cristianesimo. Il libro parla della  sua ricerca e dunque della sua vita, visto che per lei pensiero e azione sono indissolubilmente legati, hanno come centro di gravità il rigore etico. L’attualità di quel pensiero rimane nella sua critica al senso di dismisura che vede crescere intorno a sé, come avviene oggi per tutti noi; per questo motivo contesta “un’epoca che ci invita a espandere il nostro ego, la nostra potenza”. Vale la pena rileggere le sue idee su cosa sia davvero la libertà e il senso di potere.

“Si può intendere per libertà qualcosa di diverso dalla possibilità di ottenere senza sforzo ciò che piace. Esiste una concezione ben diversa della libertà, una concezione eroica che è quella della saggezza comune. La libertà autentica non è definita da un rapporto tra il desiderio e la soddisfazione, ma da un rapporto tra il pensiero e l’azione”.
E ancora: “Disporre delle proprie azioni non significa affatto agire arbitrariamente; le azioni arbitrarie non derivano da alcun giudizio e, se vogliamo essere precisi, non possono essere chiamate libere. Ogni giudizio si applica a una situazione oggettiva, e di conseguenza a un tessuto di necessità. L’uomo vivente non può in alcun caso evitare di essere incalzato da tutte le parti da una necessità assolutamente inflessibile; ma, poiché pensa, ha la facoltà di scegliere tra cedere ciecamente al pungolo con il quale essa lo incalza dal di fuori, oppure conformarsi alla raffigurazione interiore che egli se ne forgia; e in questo consiste l’opposizione tra servitù e libertà.”
Come pure: “Ma esiste ancora un altro fattore di servitù, l’esistenza, per ciascuno, degli altri uomini. Anzi, a ben guardare, è questo l’unico fattore di servitù in senso stretto, soltanto l’uomo può asservire l’uomo.”
L’analisi è, quindi, sostanziale: “Dovremmo essere, così pare, in pieno periodo rivoluzionario; ma di fatto tutto va come se il movimento rivoluzionario decadesse con il regime stesso che aspira a distruggere. Da oltre un secolo, ogni generazione di rivoluzionari ha di volta in volta sperato in una rivoluzione prossima; oggi, questa speranza ha perso tutto ciò che poteva servirle di supporto.”
Per quale motivo? “Perché non appena un potere oltrepassa i limiti che gli sono imposti dalla natura delle cose, restringe le fondamenta sulle quali poggia, rende questi limiti stessi sempre più ristretti. Estendendosi al di là di ciò che può controllare, genera un parassitismo, uno spreco, un disordine che, una volta apparsi, si accrescono automaticamente”.
Di conseguenza: “E’  l’assenza di pensiero libero che rende possibile l’imposizione con la forza di dottrine ufficiali del tutto sprovviste di significato”.
Ma forse si parla dell’adesso?

 


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