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L’analisi degli scenari di medio e lungo periodo.
Il nuovo profilo dei territori
Cambiamenti, opportunità e rischi alla luce delle mutate “geografie” dei modelli di sviluppo locale alle prese con dinamiche prima sconosciute. A cominciare dall’innovazione dei processi produttivi e delle rotte “digitali” all’interno dei mercati internazionali.

di Giuliano D’Antonio

L’analisi degli indicatori più attuali dell’economia campana e meridionale – comparandoli a quelli degli anni che hanno preceduto la grande crisi – ma, soprattutto, l’ascolto diretto di molti imprenditori dei vari comparti, porta a confrontarsi con un “mondo” che prima non c’era. La prima constatazione è abbastanza netta: la filiera agricoltura-agroindustria-turismo/turismi è in grande movimento. Se ancora non si percepisce un disegno organico e strutturato, è, però, in queste zone del “fare impresa” che si toccano con mano le più interessanti sperimentazioni. Le aziende agricole ed agro-industriali che sono riuscite a mettersi alle spalle indenni il ciclo recessivo ora si stanno giocando le proprie carte. E possono giovarsi di un flusso di ritorno di intelligenze e competenze che fanno già la differenza rispetto ad un recente passato. Sono i tantissimi “under 35” che provano a cimentarsi con quella che è a tutti gli effetti una tipologia di agricoltura “intelligente”: tecnologie, modelli analitici predittivi, tracciabilità e rintracciabilità, orientamento all’export, quarta gamma e via discorrendo.

Ma anche in quanti scelgono più vicinanza alla tradizione è quasi innata l’apertura all’ospitalità/accoglienza con grande attenzione all’inserimento nel circuito del food inteso sia come somministrazione dei pasti, che come vendita diretta dei prodotti dell’azienda. Da qui la scelta di essere parte integrante di itinerari turistici e di cartelloni di eventi che in molti casi si è già consumata con grande successo. Insomma, siamo nel pieno di un’evoluzione che si basa sostanzialmente sulla qualità dell’offerta del territorio inteso nel suo complesso: non è più soltanto questione di eccellenza di alcune tessere del mosaico di cui si compone una piattaforma locale, ma di eccellenza totale. I numeri sembrano dare ragione a questa impostazione, sebbene non siano ancora all’altezza delle aspettative. Ma, intanto, la scossa è forte, profonda. Ed il turismo risponde, comprendendo bene che non si può più vivere di “rendite di posizione” o, almeno, che saranno sempre più in pochi a reggere l’urto del turismo digitale, “tailor made”. Del turismo che è nelle mani di viaggiatori/visitatori che costruiscono a tavolino la loro vacanza perché pescano da un immenso “scaffale digitale” dove vince la web reputation, il web marketing, ma, soprattutto, la qualità interconnessa di paesaggio, ambiente, mare, beni culturali ed architettonici, bontà del cibo e capacità attrattiva in termini di comodità di accesso e fruibilità della logistica e dei trasporti.

E’ chiaro che il manifatturiero ha di fronte problemi molto complessi, ma anche su questo versante gli imprenditori più illuminati hanno capito che la chiave di volta è la compatibilità ambientale e la visione export oriented. In questo senso non sono pochi i casi di un micro-capitalismo che sta provando a diventare “glocale”. Come? Prima di tutto privilegiando l’inclusività e la relazionalità con il territorio nel quale l’azienda si trova ad insistere: più relazioni virtuose nascono con le comunità dove le fabbriche lavorano e producono, più si accetta e si condivide il senso della sfida a tutto campo.

Manca all’appello – drammaticamente – l’altra gamba, quella delle pubbliche amministrazioni. Anche se – va detto – la stessa politica sconta il ritardo di professionalizzazione di dirigenti e funzionari che rivelano la scarsità di competenze che fa la differenza con altre aree del Paese.  Ed anche all’interno dello stesso Sud.

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