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Il racconto del doppio incontro (a Milano e Salerno) avvenuto oltre dieci anni fa con il presidente Piero Bassetti.
Il movimento dei moderati “a civiltà plurale”
Quante poche esperienze in termini di piani strutturali di Unioni di Comuni, quanto poco strategica la governance interistituzionale. Il tema del rapporto con le aree meridionali è un problema di altra scala e non sarà stato il Sud a dare scarsa efficacia ai processi (complessi) di risoluzione delle emergenze delle città.

di Pasquale Persico

Un doppio incontro a Milano e Salerno avvenuto oltre dieci anni fa con il presidente Piero Bassetti è oggi ancora percepibile come prospettiva di dialogo tra “moderati situazionisti”, che auspicavano la nascita di un movimento – tra Milano e il Meridione – capace di andare oltre le contrapposizioni stupide, create ad arte ma senza alcun fondamento. Il movimento dei moderati creato da Piero Bassetti per la Milano di Pisapia invitava – i moderati “a civiltà plurale” – ad aggiungere il bastevole per soppiantare il linguaggio dell’odio e delle contrapposizioni. Quel movimento, forse, dovrebbe/potrebbe “agganciare” nuovi spazi comunicativi (che oggi non appaiono evidenti) nel linguaggio dei media alla ricerca delle grida scomposte, da una parte e dall’altra. Ho ritrovato una lettera scritta al presidente Bassetti, una lettera  da inviare a altri aspiranti alla guida di questo necessario movimento. “La Padania” in quegli anni chiedeva autonomia e liberazione dal Mezzogiorno, oggi dall’Europa, e il Mezzogiorno – con il suo Mezzogiornismo – chiedeva altrettanto, come accade perfino oggi.

La lettera è la seguente.

Gent.mo Presidente, ho avuto modo di confrontarmi con Adriano Giannola sui temi da lei introdotti commentando l’antologia curata da Perulli e Pichierri. Ho in mente di preparare una recensione-saggio del libro e pubblicarla dopo l’incontro a Milano del 14, ma ne parleremo a Salerno. Adriano mi dice di salutarLa e di rinnovare la proposta di discutere a Milano della “questione meridionale” o del “Progetto Nord”. Per adesso mi sembra utile sottolineare alcuni passaggi importanti della sua relazione introduttiva.

La crisi italiana.

Parlare della crisi italiana e, quindi, del Nord senza dovere parlare del Nord come forma di contrapposizione al Sud è già un bel passo; il rapporto tra Nord e Sud viene dopo l’ipotesi di un percorso potenziale per dare al Nord una nuova soggettività politica, economica ed istituzionale. Ecco, allora, l’inquietudine e la globalizzazione morde, diventa vorace perché si è legata fortemente alla finanza aggressiva ed anarcoide: accompagnare la produzione ed i bisogni non è lo scopo della globalizzazione come appare oggi, bisogna organizzarsi. I territori si stanno deterritorializzando, il delirium è  dominante rispetto al solco (le reti). Della stessa area semantica sono la parola “furor”, che si riferisce ad uno stato di furia e rabbia, “patiens” è colui che soffre e “delirium”, che si ricollega a lira e , ovvero “la terra sollevata durante l’aratura tra due solchi”: colui che delira è, quindi, colui che si allontana dal percorso, cioè dai solchi. La follia è il contrario della sapienza, della misura, è una passione che annebbia la mente e impedisce di esercitare l’otium, ovvero l’attività filosofica e letteraria. Secondo Freud lo sciocco o giullare era colui che consegnava una verità, a volte scomoda, ai sani, ma poiché egli la pronunciava ridendo, diventava più sopportabile.

Analizzare i processi di identità e sviluppo.

Occorre, poi, aggiungere che il Nord come il Sud non è più in grado di declinare tre paradigmi importanti Identità e sviluppo. Identità e diversità. Semplicità e complessità. Ben vengano – dice lei – studi e ricerche che si pongono problemi di “riterritorializzazione”. Il ritornello nuovo da inventare deve poter essere danzato, cantato, interpretato e rappresentato dalle mille identità che la storia ha insediato nella Padania (finalmente?).

In un convegno – a Milano, presso la Bocconi – per mostrare a noi tutti l’identità del Nord, un mio collega ci fece vedere una foto satellitare della Padania avvolta dalla nebbia ed un’altra sulla densità delle illuminazioni notturne. Un modo per nascondere mille problemi e proporre un percorso “ideologico” temporaneo. Il tema della competizione tra aree vaste o tra paesaggi va affrontato e l’enfasi sulle città potrebbe nascondere una dimensione importante. Quale? Quella delle regioni ecologiche appartenenti alla Padania.

Senza una piena consapevolezza delle ragioni degli insediamenti relativi alla geomorfologia dei luoghi non si va da nessuna parte e la struttura del potenziale dei servizi ecologici territoriali è una dimensione che influenza il lungo periodo in termini di costo di riproduzione del tessuto competitivo urbano; il territorio urbanizzato è nelle tesi di Peter Tayor  capace di   influenzare non poco le ipotesi di Perulli  e Pichierri, che prescindono (quasi) dalle ragioni storiche degli insediamenti.

Città e paesaggio.

Non esiste città senza paesaggio e non esiste paesaggio senza il concetto di città di area vasta. La città è una dimensione mentale e cognitiva importante, le nozioni di territorio in Freud ed in Batenson sono decisive. Come già sottolineato da lei, Bagnasco è il più serio nel formulare l’ipotesi del Nord come una possibile unità, ma è egli stesso il più attento a sottolineare che questa ipotesi non ha ancora un’anima, non vi è ancora una visione condivisa di senso che possa coniugare il paradigma identità e diversità come caratteristica simile alla Valle delle Orchidee, area vasta , vastissima che ci spiega il perché le ibridazioni sono tutte fertili.

Il concetto di Peter Taylor – che definisce il Nord Italia un’unica regione multi/modale –  viene svilito e chiuso dall’idea di città regione-globale, che mi piacerebbe invertire in regional and  global cities network.

Network – diversamente da reti o net – implica una progetto-processo di governance multilivello. Ma per le definizioni, le identità, i nomi vengono sempre dopo. Mi piace la sua tensione e la sua riconoscenza verso gli studiosi che si cimentano, il cimento deve prendere forma con un approccio-laboratorio più intenso. Questo volta non ci devono essere sospetti accademici, amore per le citazioni o le paure ad uscire dal solco. Nei contributi vi sono troppi modelli riportati, mentre il problema da affrontare è grande ed inquietante come dice lei.

Deve esserci, per comprenderci, l’inquietudine di S. Agostino e la capacità di un pensiero lungo come quello di S. Ambrogio, senza rischiare già di chiudersi dentro paradigmi oggi non coniugabili per modelli, lo fece S. Tommaso D’Aquino.

Si tratta di inventare una nuova città, parafrasando Dario Fo, e la città da inventare difficilmente sarà la città che controlla il territorio, il modello di governance e di government da immaginare è quello da produrre nella storia che verrà.

La forza della sostituzione della questione del Nord alla questione settentrionale consiste nel parlare della difficoltà di riposizionare un’area vasta (per comodità diciamo Padania) nel mosaico delle aree vaste che a livello internazionale hanno raggiunto scale di efficacia e di efficienza, cioè delle aree che nella competizione tra sistemi di paesaggio hanno gradi di resilienza molto elevati.

Purtroppo resilienza e compliance (che non è solo flessibilità) non appartengono al linguaggio socio economico. Ecco, seguendo il suo ragionamento, se mettiamo al centro il tema del modo in cui il Nord deve stare nel mondo (e direi nel cosmo, per essere contemporanei) si mette in sequenza logica il ruolo dello stare in Europa prima dello stare in Italia. E’ chiaro che l’eventuale sussidiarietà del Nord verso il Sud e del Sud verso il Nord (come è stato negli anni del miracolo economico) diventano argomenti importanti dentro il tema a lei caro delle aree in cui i diversi local concorrono all’efficacia e all’efficienza delle strutture a polinuclearità, a civiltà aperta.

Milano.

Per Milano non basta, perciò, misurare il volume dei flussi ma bisogna analizzare il ruolo nelle reti per misurare l’efficacia delle diverse polarità. In questa fase di grande frammentazione politica ed istituzionale l’ipotesi che Milano possa risalire la scala verso l’essere guida nella governance della multi-nodalità è un’ipotesi fuori squadra.

Le ipotesi di molti studiosi propongono prospettive più funzionali, aggregando i territori intorno ad ipotesi di logistica delle merci e degli uomini. L’enfasi sulla parola città potrebbe essere giusta se in essa includiamo l’idea di sistema ecologico a cui le funzioni urbane sono connesse.

La storia del passato ci illumina sulla scomparsa degli aggregati urbani e delle civiltà e – senza rispondere alle tante domande connesse alla sparizione delle città – è difficile usare nuovamente questo termine per parlare di Milano intesa come città-guida. L’avvertenza – più che mia –  è di Bagnasco, che sembra prudentissimo rispetto agli altri studiosi che, invece, spingono molto su certezze improbabili.

La struttura dei distretti è debole e quei territori non hanno il secondo cervello di cui parla la scienziata Levi Montalcini (ma dov’è il secondo cervello dell’area vasta, non quello adattivo ma quello cognitivo e strategico?). Ecco, le risposte sulla governance strategica esistente (elogio dei piani strategici di Perulli) è debole come è debole la risposta di Grandinetti .

Il Nord.

Ma  dei singoli contributi non vorrei parlare adesso. Vorrei, invece, sottolineare che il problema-Nord deve essere affrontato con determinazione, in termini di efficacia della governance esistente a partire dai gradi di libertà che già Regioni, Comuni ed Istituzioni hanno. Si pensi a quante poche esperienze ci sono in termini di piani strutturali di Unioni di Comuni, a quanto poco strategica è la governance interistituzionale per non parlare di quella relativa a governance dei Comuni e governance delle società di servizi.

Il tema del rapporto con il Sud è un problema di altra scala e non sarà stato il Sud a dare scarsa efficacia alla governance dei processi complessi che non si riescono a governare: le emergenze delle città.

Termino dicendo che il poeta milanese, Nanni Balestrini,  da tempo rinnova il grido di paura sul tema della frammentazione politica ed istituzionale, il cannibalismo tra persone nel suo dramma scenico rappresentato più volte a Milano è la visione pessimistica rispetto alla possibilità di riterritorializzare le aspettative della Padania.

La nostra ipotesi deve essere diversa, l’uomo ha la capacità rigenerativa come missione per la sua sopravvivenza, la riproduzione sociale da inserire nel sogno deve essere sempre ipotizzata aprendo i laboratori del cambiamento.

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Pasquale Persico
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