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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Siamo nel pieno della ricerca di profili che esprimono nuovo valore, al di là dello standard iniziale da cui si parte.
Il lavoro? Scelta sempre più personale e innovativa
E’ una partita nella quale è già raccolto il confine del nostro futuro: è un passaggio di civiltà che valica il traguardo del costante raggiungimento (e superamento) del progressivo livello formativo.

I dati sull’andamento dei flussi occupazionali (Ministero del Lavoro) – primi nove mesi del 2022  – evidenziano una tendenza già più volte segnalata, ma che assume oggi una consistenza sempre più specifica attraverso le dimissioni volontarie, che si posizionano subito dopo i contratti a termine non rinnovati. Abbastanza chiare anche le cause della scelta di non insistere sul mantenimento della propria posizione lavorativa: ricerca di un impiego meglio retribuito o una più consistente conciliazione dei tempi del lavoro con le necessità personali o familiari. In poche parole, i numeri confermano che siamo di fronte ad un nuovo atteggiamento che appare influenzato dalle dinamiche accentuate da quanto si è determinato, nelle varie realtà lavorative, nel periodo pandemico. Giorni durante i quali è apparso evidente che l’aspetto relazionale di un numero sempre più consistente di persone ha sollecitato ad affrontare in maniera più diretta e specifica il problema dell’effettiva valenza complessiva del proprio lavoro (non soltanto l’aspetto strettamente tecnico-operativo) nella graduale scala dei valori di ciascun elemento dell’universo lavorativo, o, per meglio dire, occupazionale. Stiamo parlando del “posto” di lavoro, dell’impiego, della professione da “inserire” all’interno della propria vita. Non è apparso evidente, per la verità, che la controparte del lavoratore – il datore di lavoro (pubblico, privato, indipendente) – comprendesse bene, senza strumentalizzazioni, che cosa si era in quel momento manifestato in maniera così evidente. Tanto è vero che ondate omogenee e non strumentali di “ascolto” al di là degli obiettivi organizzativi da raggiungere senza accumulare ulteriori problemi da gestire, ma disponibili a recepire con chiarezza uno stato di cose, molto probabilmente, non facilmente mutabile, se ne sono viste davvero poche.

In realtà, quello che – e allo stato attuale non sembra più una tendenza temporanea o determinata solo dai fatti già accaduti – sgombra bene il campo (in particolare per lavori e prestazioni professionali ad alto valore aggiunto di indipendenza e creatività) da ogni equivoco, prende forma nella responsabilità totale del lavoratore e si abbina, indissolubilmente, con la convinta ricerca della qualità che si deve, obbligatoriamente, riuscire a mettere in campo. Non è tanto la ricerca della piena consistenza che il proprio lavoro deve apportare nel contesto dove è chiamato ad esprimersi, ma la necessità di fornire la tipicità innovativa nel quadro di un sistema altamente concentrato a ricevere e promuovere qualità risolutiva.

Siamo, quindi, nel pieno di un processo trasformativo che privilegia profili che esprimono nuovo valore del lavoro, al di là, quasi sempre, dello standard formativo iniziale del lavoratore.

E’ nato, quindi, anche nel nostro Paese – sempre in ritardo rispetto ad altre realtà territoriali – una innovativa modalità operativa del valore professionale messo in campo da un sempre maggiore numero di persone alla ricerca della propria realizzazione personale che chiede, naturalmente, di ottenere, a vedere bene, più libertà: di espressione (lavorativa), ma anche di dirigere al meglio la propria esistenza (personale) più complessivamente.

E’ una partita nella quale è già raccolto il confine del nostro futuro: è un passaggio di civiltà che passa attraverso il traguardo di un più valido e costante raggiungimento del (personale) livello formativo. E’ da qui che bisogna partire e ripartire. Non possiamo né sbagliare, né perdere tempo.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

 

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Nuovi e progressivi confini (auto) formativi.
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