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“C’è bisogno di una riflessione sulla loro missione, che è stata più volte tradita nel tempo”.
Il gioco dei partiti diventa sempre più incomprensibile
“Si sono trasformati in espressione di una società che non riesce a superare le pulsioni corporative ed individuali. Hanno perduto la capacità di riconoscersi nelle finalità della nostra Costituzione”.

di Pasquale Persico

Quasi tutti i miei amici economisti di fede keynesiana mi hanno fatto notare che la mia ipotesi – elaborata nel “Punto di Arpocrate” di lunedì scorso – è semplicemente inverosimile. Sostengono che Draghi sia un keynesiano vero, non solo uno studioso che ha una storia relazionale “incredibile”, che racconta di come abbia saputo correggere, nel tempo, all’interno delle istituzioni comportamenti non moralmente sostenibili nell’ambito del rapporto tra interessi privati ed interessi comuni. Se si approfondiscono bene i temi keynesiani, si può affermare che Draghi – come Keynes – ha sempre cercato di perimetrare un quadro efficace del regime di regole capace di offrire ai mercati un ruolo non lontano da allocazioni controllabili; lo scopo da raggiungere è rimasto quello di delineare una prospettiva precisa per le risorse efficaci. Presupposto, ovviamente, per realizzare l’efficienza.

Non è estraneo a Draghi il pensiero che la società ha difficoltà a superare le relazioni conflittuali e, pertanto, troppo spesso ci si allontana dalla morale che spinge a riconoscere i diritti degli altri; l’equità  è poco praticata (la disoccupazione involontaria per Keynes).  Draghi pare avere più fiducia di Keynes nella capacità della politica di generare soluzioni, egli  ben comprende che quando la storia diventa complicata lo Stato deve intervenire perché potrebbe essere la sola istituzione capace di generare razionalità limitata o bastevole.

Ma la mia ipotesi è che noi siamo in una fase storica in cui (dopo le crisi strutturali, le rivendicazioni asimmetriche, le pandemie non spiegate bene e le disuguaglianze crescenti) – con, nel campo largo, un gigantesco problema di transizione ecologica – la distinzione tra beni comuni e beni individuali (diritti estesi) è molto difficile da definire. Ma, soprattutto, non è semplice comprendere se il mercato e lo Stato – così come è -siano  in grado di garantire equità nella distribuzione della ricchezza prodotta.

Per me – volendo investire ancora nel pensiero di Keynes e rilanciare lo Stato come potere razionale ultimo e imprescindibile – abbiamo bisogno di  puntare su una forte tenuta della Costituzione italiana per sciogliere i nodi del contratto sociale continuamente minacciato dal gioco incomprensibile dei partiti. Essi sono diventati espressione di una società che non riesce a superare le pulsioni corporative ed individuali. Essi hanno perduto la loro capacità di riconoscersi nelle finalità della nostra Costituzione ed hanno bisogno di una riflessione sulla loro missione, prevista in Costituzione ma tradita nel tempo. Allora, l’ipotesi della necessità di giocare a carte più scoperte, riguarda anche la decisione di Mattarella, che, proprio per la forza del suo secondo mandato, potrebbe spingere per una transizione accelerata del processo a cui ho accennato.

Uno Stato rappresentato da partiti più responsabili è la prospettiva da perseguire. Una responsabilità che non può emergere dal solo conteggio temporaneo dei voti di maggioranza, ma da una nuova idea di società plurale e responsabile.

E’ necessario assumere che le nostre credenze trovino il proprio limite proprio nell’incontro con le credenze degli altri. Il riconoscere la nostra incompletezza deriva dal semplice fatto che vi sono altri che hanno altre ragioni, che raccontano altre storie.

Per evitare un impoverimento delle prospettive europee c’è bisogno di un salto nella nuova storia delle nazioni, e queste devono rafforzare l’ipotesi liberale e riformista di uno Stato capace di garantire l’allargamento delle libertà e dei diritti, in una visione di equità crescente. La terza via di cui si parla da tempo, a proposito del futuro, non è  ancora ben delineata. Essa ha bisogno di una ricerca da fare, fino a trovare un nuova capacità  (pensieri e credenze ) su cui poggiare la politica.

Oggi è tempo di allargare la terza via e la sola visione  keynesiana appare debole anche se appartiene  al campo progressista. Una finanziaria di transizione, attenta allo spread,  come proposta del presidente – con un presidente del Consiglio pienamente idoneo, io ho fatto l’esempio del Prof. Cottarelli come ipotesi di riferimento – costringerebbe i partiti e la politica ad una riflessione più efficace,  invece di abbandonarsi alla deriva concettuale in cui siamo caduti.

Il tema ambientale, quello energetico e quello della transizione ecologica non possono essere affidati al mercato e ad una governance in stallo. La politica economica delle nazioni ha i suoi limiti, lo Stato deve fare un salto di scala nella cooperazione internazionale e nella capacità di abbracciare macroregioni.

Il tema del fisco pervade la politica, mentre le promesse di sussidio abbracciano tutti gli schieramenti, l’emersione di una politica economica a largo spettro appare un miraggio, i processi decisionali diventano lumache incapaci di affrontare le salite.

Allora saltiamo il fosso dello stallo, scegliamo una rotta istituzionale chiara e teniamoci per mano per investire in sussidiarietà a tutto campo.

 

 

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Pasquale Persico
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