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Nel territorio di Città della Pieve la produzione del croco è documentata fin dal 1279.
Il filo di seta allo zafferano e l’inquietudine del presidente Draghi
La presenza diventa confronto. La parola sobrietà, riportata dai media, prende forma come richiesta di comportamento e di azione. Dalla transizione del possibile, forse, si genera la cucitura resiliente.

di Pasquale Persico

Una premessa. Il filo di seta per cucire è un filato morbido e lucido, utilizzato per  tessuti di lana e seta, è particolarmente resistente ed anche abbastanza elastico. Il termine zafferano deriva dall’arabo zaafaràn, ossia giallo, ed è riferito al colore dorato della spezia ottenuta dagli stimmi del fiore che è violetto. In Europa la coltivazione dello zafferano si diffuse intorno al X secolo, mentre in Italia arrivò circa trecento anni dopo grazie a padre Santucci, un frate che lo portò dalla Spagna. Nel territorio di Città della Pieve, la cittadina della discrezione per Draghi,  la produzione del croco è documentata fin dal 1279, quando nello Statuto di Perugia se ne fa esplicito riferimento. L’importanza dello zafferano nell’economia pievese crebbe nel corso dei secoli. A quei tempi la preziosa sostanza, ricavata dagli stimmi essiccati del fiore, era utilizzata soprattutto nella tintura di panni e filati di seta, velluto e lana (per la cui produzione Città della Pieve era famosa fin dal XIII secolo), mentre nella pittura rinascimentale era probabilmente usata come colorante naturale. Il racconto sulla inquietudine di Draghi riguarda la notte precedente al suo primo consiglio dei ministri ed il giorno dopo. Si è già accennato che, nell’ambito della spiritualità agostiniana, la mediazione ha bisogno, per essere piena e ricca, di quattro momenti: il momento del silenzio; il momento della presenza; il momento del confronto e il momento della riflessione.

Il racconto della presenza e  del primo confronto.

Il momento della silenzio era stato utilizzato al meglio durante il tempo dell’ascolto. Il momento della presenza e del primo confronto con le istituzioni di riferimento era arrivato: giuramento e consiglio, poi in Parlamento. La  sera precedente al giuramento, e per caso, si era soffermato più volte sulle parole di presentazione del bel libro di Francesca Canale Cama che racconta del governo di un solo anno del tessitore Francesco Saverio Nitti,  nel periodo dopo la prima guerra mondiale. La parola tessitore lo aveva colpito particolarmente e si era posto nuovamente la solita domanda: di qual tessitura si parla? Le parole rimbalzarono  nella sua mente per l’intera notte: il presidente Nitti riteneva possibile la nascita di una nuova Europa, attenta a favorire lo sviluppo sociale ed economico di tutte le sue parti attraverso la democrazia equilibrata, ricomponendo i conflitti esistenti, nazionali ed internazionali; la Germania doveva riprendere il suo ruolo centrale nel promuovere il progetto sociale ed insieme all’Italia ed alla Francia allontanare le frustrazioni materiali ed ideali di stampo nazionalistico. Nitti riuscì a svolgere un’apprezzabile “ricucitura” delle tensioni in atto fino alla convocazione della Conferenza internazionale di Sanremo. Una tessitura finissima sorretta da una tenace fede di valori. L’autrice, però, aggiunge: Nitti , nei suoi multiformi percorsi delle trame internazionali, non coglie tutte le convulsioni di una realtà profondamente mutante. Nel mese di giugno il presidente del consiglio Nitti vide svanire, nel suo stesso Paese, l’Italia, le condizioni necessarie a far vivere il suo progetto europeo.

Il presidente  Draghi, quella notte si ricordò del filo di seta giallo di Città della  Pieve,  e sognò di diventare un baco da seta,  capace di battere tutti i record di lunghezza del filo di seta prodotto da un solo bruco, ma avrebbe chiesto aiuto. Durante la sua presenza in Consiglio dei ministri, come premessa, avrebbe raccomandato ai suoi ministri di segnalare la loro presenza solo dopo aver prodotto dei fili,  di comportamento, capaci di cucire le reti del nuovo tessuto sociale, necessario a vincere le resistenze al cambiamento. Solo  per un momento pensò di indossare un foulard di seta gialla invece della cravatta per continuare a stare in silenzio invece di parlare; il simbolismo più della parola avrebbe dato senso alla sua presenza. Il giorno dopo, però, con la cravatta,  riuscì a parlare della sobrietà dell’azione, riferendosi al silenzio del bruco, che decide di comunicare la sua capacità di volare solo dopo aver prodotto non meno di 500 metri di filo. La presenza diventava confronto.

La parola sobrietà fu riportata dai media come richiesta di comportamento e di azione.  L’inquietudine era diminuita; il tempo del confronto e della presenza in Parlamento si era colorato del giallo dello zafferano di Città di Pieve; il sole, simbolicamente,  illuminava la transizione del possibile; forse  la cucitura poteva essere resiliente.

 

 

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Pasquale Persico
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