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Effetto Prisma. I modelli di governance – nella composizione proprietaria ovvero manageriale – determinano il successo o l’insuccesso.
Il fiato corto delle piccole imprese meridionali
“La copertura del rischio risiede unicamente nella consistenza dei mezzi propri e solo in casi eccezionali e in presenza di business innovativi, e realmente validi, si dovrebbe derogare a tale principio”.

di Maria Teresa Cuomo*

Ad un buono scatto, benché ritardato rispetto allo start, è poi mancato il fiato. Questa la cronaca della rincorsa avviata dal Mezzogiorno, che, anziché consolidarsi, continua ad esprimere molteplici divaricazioni rispetto al resto del Paese, e ad altre aree comunitarie. Diverse, poi, le ragioni. Sicuramente pressioni e turbolenze globali, unitamente all’emersione di nuovi attori, hanno giocato un ruolo considerevole, deteriorando un sistema produttivo principalmente basato su un’industria tradizionale, già, come più volte rimarcato nelle pagine di questo blog, costretto a virare su comparti alternativi del terziario (turismo e servizi su tutti) per provare a ricomporre la forza competitiva smarrita. Sovrapponendosi a debolezze preesistenti, tali fattori amplificano gli interrogativi sulle capacità di recupero del sistema economico-sociale meridionale.

La conformazione produttiva del Sud è notoriamente basata su imprese di ridotte dimensioni, in prevalenza microimprese, con un’incidenza sul totale delle Pmi del 90% (Ifis 2018), caratterizzate altresì da: forte sottocapitalizzazione (incidenza media del capitale esterno rispetto al capitale imprenditoriale per un valore pari a 3,17, Cerved 2018); elevata consistenza di debiti a breve termine, sia di tipo commerciale che bancario (il 45%, di cui il 18% di natura bancaria, Bankitalia 2018); redditività operativa spesso a livelli minimali, (ROI del 4%, con circa 1/3 delle imprese in perdita, Cerved 2018); consistente confusione dei ruoli di proprietà e management, sovente accompagnata da un capitale umano impreparato alla complessità del mondo globalizzato e da un capitale sociale avulso al rispetto delle regole, quando non del tutto assente. L’interesse odierno pare essersi concentrato su altre questioni; pertanto, rientrare nel perimetro, riportando la discussione sui modelli di governo impiegati dalle organizzazioni imprenditoriali sudiste può risultare molto costruttivo. Non a caso i modelli di governo – nella composizione proprietaria ovvero manageriale – sono in grado di determinare, nella maggior parte dei casi, il successo o l’insuccesso del tessuto imprenditoriale in termini di capacità di generazione di valore. L’approfondimento dei «lati oscuri» connessi ai due principali approcci può risultare, dunque, molto interessante, unitamente alla verifica della composizione delle fonti finanziarie (interne/esterne) utilizzate. L’eccesso di dirigismo e di accentramento decisorio, se pur in apparenza meglio confacente alla piccola dimensione, presenta come fattore negativo la ricerca del profitto, o di creazione di ricchezza, ad esclusivo vantaggio della proprietà, tralasciando le questioni di una sua corretta distribuzione. Dal canto suo, invece, l’approccio manageriale, più vicino alle grandi dimensioni, tende a favorire processi di accumulazione, trattenendo capitali in azienda con la finalità di incrementarne le probabilità di sopravvivenza. Quale preferire, allora? Se alle pmi può mancare soprattutto la cultura manageriale, le grandi imprese possono, invece, difettare di frequente di spirito imprenditoriale, allora la ricerca continua di equilibrio è la direzione corretta. Un adeguato bilanciamento tra i due approcci potrebbe rappresentare l’optimum, magari introducendo il concetto di prevalenza, da leggere insieme al livello di capitalizzazione aziendale, ricordando che la copertura del rischio imprenditoriale risiede unicamente nella consistenza dei mezzi propri e che solo in casi eccezionali e in presenza di business innovativi, e realmente validi, si dovrebbe derogare a tale principio (es. start-up che producono effettivamente valore).  L’auspicio, dunque, è che il Mezzogiorno possa riprendere la sua corsa, ma con “buoni polmoni”, immaginando il futuro e facendo tesoro del passato, consapevole che non esistono ricette comode e ad effetto immediato, nonostante siano sempre più a buon mercato.

* Docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università degli Studi di Salerno e presso il Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l’Economia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

 

 

 

 

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