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L'altra notizia »

Il festival di Sanremo/Il presidente Mattarella, la Rai, la “pezza a colori”, la partecipazione di Zelensky.

di Mariano Ragusa

E’ toccato alla saggezza di Mattarella mettere, nobilmente, la proverbiale pezza a colori al pasticcio combinato dalla Rai sul caso della partecipazione del presidente ucraino Zelensky al Festival di Sanremo. Perché ragionevolmente di questo si è trattato vista la piega che la vicenda aveva preso – prima l’annuncio di un collegamento, poi di un videomessaggio, infine di una lettera del presidente ucraino letta da Amadeus – e soprattutto per i derivati riflessi sulla credibilità internazionale del nostro Paese.

Il capo dello Stato ospite per la prima volta nella storia al Festival è un evento e una notizia che, come si dice in gergo giornalistico, si “mangia” tutte le altre, invade la scena dell’attenzione occupandola senza residui. Operazione perfetta (plauso ai comunicatori del Quirinale) per come è stata giocata nella chiave della sorpresa. Ma anche perfetta per l’alto contenuto simbolico che la presenza del Capo dello Stato ha inteso sottolineare: l’anniversario dei 75 anni dal varo della Costituzione repubblicana.

La Carta dei valori fondanti e il Festival della canzone. Doppio intrecciato specchio dell’identità italiana. Riflesso calviniano di quella leggerezza che non è vacuità né evaporazione ma continua liberazione/elaborazione della pesantezza della storia senza mai disperderla.

L’Italia è questa: ammonisce implicitamente il Capo dello Stato. Il pasticcio Rai-Zelensky si dissolve. Rientra nei ranghi, appunto, di un dilettantesco pasticcio nel quale le regole dell’intrattenimento onnivoro hanno fatto immaginare ai dirigenti della tv pubblica di potersi improvvisare abili diplomatici o ministri degli Esteri. Non c’entra nulla l’autonomia – pur flebilmente rivendicata da qualche opinionista di complemento – delle scelte dell’azienda pubblica. Non c’entra un fico secco quando non si tratta di scritturare una star ma tirare dentro lo “zuppone” dello show personalità e temi di delicata e immensa complessità come è la sanguinosa guerra che si sta combattendo nel cuore dell’Europa.

Il rischio – anche da queste colonne lo abbiamo sommessamente scritto – era la banalizzazione di una tragedia come sono usi fare tanti talk show virati sul noir delle umane disgrazie. La mossa di Mattarella, con la sua sola autorevole presenza, ha permesso di rimettere in ordine le carte: ribaltando il piano, pericolosamente inclinato del discorso pubblico, e ribadendo simbolicamente lo spirito della Repubblica democratica e dei suoi valori-guida che ne legittimano ruolo e azione nel contesto internazionale, compreso il teatro ucraino. Al fianco di quel popolo vittima dell’aggressione russa.

Il gesto di Mattarella (narrativamente enfatizzato dal monologo civile di Roberto Benigni) ha sollevato la tragedia della guerra dall’impasto televisivo che tutto amalgama, appiattisce, omologa. E al tempo stesso ha sottratto Zelensky dal pasticcio della sua ospitata sanremese.

Il resto è colore, melassa mediatico-spettacolare, balbettii, improvvisazione e poche note di cronaca. Come quelle che descrivono la condotta ondivaga dei vertici dell’intrattenimento Rai. E come quelle che illuminano il personaggio Amadeus sintesi ed emblema del Festival. E per questo il conduttore merita, in questa sede, qualche riga in più di attenzione. Perchè, inevitabilmente visto il ruolo, ha messo la faccia sul pasticcio-Rai e sulla soluzione compromissoria finale sulla modalità della presenza a distanza del presidente ucraino trasformandosi nel leggio animato delle parole di Zelensky.

Condizione che il presentatore ha definito “romantica”. Proprio come una canzone di Sanremo.


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