Lo speciale 1 »
di Daniela Delvecchio
Che “l’occhio mangia per primo” (M. G. Apicio, I sec. a.C.) è un’antichissima certezza. Il cibo visivamente accattivante appartiene alla storia dell’arte come fonte inesauribile di ispirazioni, materia raffigurata, plasmata per essere offerta e percepita da tutti i sensi. Anticamente, per sottolineare quanto un’opera fosse stata riprodotta realisticamente, si narrava del pittore greco Zeusi (V sec. a.C.) che pare avesse dipinto dell’uva così perfettamente, da ingannare anche gli uccelli che provavano a beccarne i frutti. Così succede che il cibo, quale energia che permette la vita, comincia un cammino estetico parallelo a quello della semplice soddisfazione dei bisogni. Un percorso che, nelle diverse epoche e grazie ai grandi artisti, diventa nell’arte espressione di un linguaggio antropologico, sociale e culturale, un immenso archivio storico di usi, costumi, genti e civiltà. Il binomio cibo/sostentamento, purtroppo ancora non universalmente assodato, ha lasciato spazio a forti valori e significati nella sfera sociale dell’essere umano. Convivialità, identità culturale, salute e benessere parlano di cibo che accompagna e che unisce, che racconta di bellezza e creatività, che, però, non dovrebbe mai imporsi o, addirittura, sottomettere. Bisogna dire che oggi sembra di assistere ad un fenomeno pari quasi a un’ossessione, una mania, non esclusivamente giovanile, di raccontare il cibo attraverso foto postate sui vari social, con risultati discutibili. A tratti ridicoli?
Nel corso di un evento fotografico – “Can food be art? Dalla mostra alla diffusione della food photography” – che si svolse a Roma circa due anni fa ad opera di un fotografo salentino dall’approccio inequivocabilmente pittorico, Salvo d’Avila – ci si interrogava sull’ipotesi che il cibo potesse acquistare un valore artistico. In quell’occasione, a cura della storica dell’arte Lia De Venere, emerse come la food photography rappresenti oggi una tendenza decisamente in espansione. Un trend che ha contagiato tutti, dagli esperti ai non addetti ai lavori, inondando i social di piatti fotografati sulle tavole di rinomati ristoranti, ma anche su quelle delle nostre case o, al massimo, su quelle dell’anonima pizzeria dietro l’angolo.
Celebrare il cibo in tutte le sue forme, oggi è sinonimo di opulenza, ricchezza, espressione di uno status symbol privilegiato? Rappresentare la realtà in cui viviamo attraverso l’obiettivo di una macchina fotografica e scegliere il cibo come soggetto significativo, potrebbe sublimare uno degli aspetti più importanti della nostra cultura – che tra l’altro ci rende famosi in tutto il mondo – purché ciò risponda a specifici canoni di bellezza e professionalità, magari non a deliri amatoriali.
Ciò che occorre è sempre “studiare” – ci insegnano gli esperti in campo di fotografie artistiche e pubblicitarie – l’ambientazione coerente, la luce adeguata, la composizione del piatto in questione, valutandone accostamenti accattivanti di forme e colori. Insomma dovrebbe, come sempre, non bastare un semplice clic per catturare centinaia di like. E allora perché da un’indagine Doxa sul food porn scopriamo che sette italiani su dieci condividono foto scattate al ristorante e il 51% immortala il piatto prima di assaggiarlo? E’ una delle tante nevrosi moderne che trasforma il food porn in bagordi e stravizi da mangiare con gli occhi, nella ormai continua ricerca di simpatiche attenzioni su se stessi? Forse, sarebbe necessario ammettere di non essere, poi, così avvezzi a”certi pasti”, andando semplicemente incontro ad un’inevitabile caduta di stile.
Cibo e relax https://www.youtube.com/watch?v=YCP5xPvnaq0
Nuove "bagarre"