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“Il passo del gambero del Partito democratico si compie nel giro di una legislatura e somiglia ad un ribaltone ideologico”.
Il cantiere del riformismo, istruzioni per l’uso
“Per proporre un compromesso credibile bisogna prima imparare a praticarlo, partendo da un’analisi realistica delle idee e delle risorse oggi presenti nell’area esterna al bipolarismo contrappositivo”.

L’evidenza populista

C’e’ una “evidenza” populista. E un populismo implicito, surrettizio, ideologicamente coattivo. Evidenza populista è la narrazione di Salvini ma anche quella intessuta dai Cinque Stelle. Proprio questi ultimi sono i motori, gli induttori del populismo implicito che contagia quelle forze politiche al contrario destinate, per storia e valori fondativi, ad essere alternativa radicale al populismo stesso.

Il contagiato numero uno è il Partito democratico Alla prova dell’alleanza con i Cinque Stelle ha fatto sin qui sconti continui al suo profilo riformista. Tattica di legittima politica politicante? Anche.

Solo che se la tattica annebbia le direttrici della strategia allora i problemi sono pesanti.

Muove anche (ma non solo) in questo clima l’ultimo saggio di Alessandro Barbano “La visione-Una proposta politica per cambiare l’Italia” (edito da Mondadori). Il taglio narrativo, accurato nelle argomentazione che è tratto distintivo del suo Autore, è quello immediato ed incisivo del pamphlet. L’intenzione è dichiarata: offrire una riflessione utile a strutturare una alternativa riformista come risposta forte e vincente al populismo, che tale può essere se rompe il bipolarismo contrappositivo che ha consegnato il Paese al rischio del declino.

Il libro guarda alle risorse politiche delle culture liberaldemocratica, popolare e socialista. Ne traccia le linee di possibili convergenze e reciprocità, attraverso la rilettura degli stessi presupposti teorici. Un impegno concreto. L’apertura di un cantiere delle idee per nutrire la nascita di soggettività politiche.

“La Visione” chiude idealmente un trittico di saggi (“Troppi diritti”, “Le dieci bugie”) nel quale Barbano, giornalista, saggista, ex direttore de Il Mattino, editorialista del Foglio e di Huffington Post, ha preso culturalmente in cura la crisi della democrazia rappresentativa per selezionare risposte credibili alla sua soluzione.

(Mariano Ragusa)

Per gentile concessione dell’Autore pubblichiamo un capitolo del libro.

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di Alessandro Barbano

Una prospettiva nuova per la democrazia italiana ha una possibilità di imporsi e di durare solo se è capace di volare oltre l’urgenza dei tempi, di cui il populismo è figlio. Non sono le prossime elezioni l’imperativo a cui rispondere, ma l’idea di Paese che abbiamo coltivato al confronto con l’immagine del Paese che vediamo declinare sotto i nostri occhi.

Dismettere l’urgenza non significa non tener conto delle occasioni che la politica offre, ma evitare che tutto si riduca alla occupazione di uno spazio subordinando la strategia alla tattica. Un’alternativa credibile ha un tempo di elaborazione, di amalgama e di organizzazione, e coincide con il rispetto di un metodo di lavoro che è tutt’uno con il contenuto dell’offerta politica. Per proporre un compromesso credibile bisogna prima imparare a praticarlo, partendo da un’analisi realistica delle idee e delle risorse oggi presenti nell’area esterna al bipolarismo contrappositivo.

 La geografia dell’alternativa.

Con una esemplificazione schematica, utile a costruire una narrazione di questa geografia dell’alternativa, procediamo da destra verso sinistra.

Il primo incontro è quello con una cultura moderata, tendenzialmente conservatrice e cristiana, che in Italia ha avuto storicamente non pochi slittamenti verso destra. E’ una zona di confine permeabile, come dimostra l’accasarsi di molti suoi esponenti nel recinto di Fratelli d’Italia. (…)

Ai fini del nostro obiettivo quest’area rappresenta il confine esterno con cui non è più ragionevole transigere. Per un motivo su tutti: le critiche alla globalizzazione e all’Europa qui convergono verso un nazionalismo securitario, in cui i tratti del populismo appiano preponderanti. Prevalgono la sfiducia nella moneta unica e un giustizialismo di destra sostenuto dalla convinzione che, sotto sotto, Salvini abbia ragione. E che la presunta efficacia dei suoi decreti sicurezza, adottati quando era al Viminale, giustifichi la riduzione delle garanzie e lo stop ai processi di integrazione. Allo stesso modo in quest’area trova pieno consenso l’appalto alla mano privata dell’ordine pubblico, attraverso una estensione della legittima difesa.

Ben diversa è l’area propriamente liberale. Se pure storicamente minoritaria e condannata a coltivare un pensiero ed un posizionamento di nicchia, se pure delusa dagli esiti del berlusconismo ancorchè in parte tuttora nell’orbita di Forza Italia, se pure annidata senza convinzione nei partiti più diversi e, tra questi, anche il Partito democratico, quest’area è un bacino potenziale per la costruzione di un’alternativa al bipolarismo. Non foss’altro per il suo scarso peso nelle politiche pubbliche degli ultimi decenni in Italia, il pensiero liberale è intrinsecamente riformista in quanto discontinuo con il passato. Il suo maggior contributo è la tendenza a sviluppare risorse ed energie private da un arretramento dello Stato dai processi economici e sociali del Paese.

L’universo popolare è un’area marginale quando non invisibile nel dibattito pubblico, ma anche una riserva silenziosa, portatrice di un impegno civile che, se pure non si traduce in una offerta politica definita, non perde una sua capacità di intermediare processi sociali tutt’altro che irrilevanti.

Il tentativo di ridare vita in forma autonoma ad una rappresentanza connotata in senso cristiano naufraga da anni nel conflitto tra i reduci della disciolta Democrazia cristiana o nel vassallaggio alla leadership laiche del Partito democratico. Al di fuori di queste due canalizzazioni storiche, ostruite dai detriti del presente, si assiste ad un tentativo autonomo di rifondazione da parte dei movimenti, associazioni e intellettuali di ispirazione cristiana, ultimo dei quali il manifesto “Politica insieme” di Stefano Zamagni.

Il limite di queste iniziative è stato in questi anni la rivendicazione di capacità identitarie incapaci di fare sintesi. Ma il contributo del personalismo cristiano alla costruzione di una alternativa politica è potenzialmente decisivo soprattutto per la sua capacità di sostituire il dirigismo e lo statalismo delle opzioni bipolari con una logica di sussidiarietà, che riattivi il ruolo della delega e dei corpi intermedi. Tanto più questo ruolo sarà rilevante quanto più la laicità liberaldemocratica perseguirà con l’universo popolare un dialogo fondato sul reciproco riconoscimento e sull’obiettivo comune di correggere gli eccessi della globalizzazione agganciando i diritti ai doveri.

Il passo del gambero del Partito democratico.

L’area riformista è un arcipelago altrettanto ampio quanto frammentato come effetto di due processi antitetici: la spinta della stagione renziana verso un approdo liberale per la sinistra storica e il successivo ripiegamento verso vecchie posizioni stataliste e assistenziali. Il passo del gambero del Partito democratico si compie nel giro di una legislatura e somiglia ad un ribaltone ideologico: si esprime in una diversa declinazione della protezione sociale, che smette di essere una conseguenza indotta dello sviluppo e diventa l’offerta assistenziale di una politica distributiva.

Non è solo la conferma del reddito di cittadinanza il punto di incontro tra il Pd di Zingaretti e i Cinquestelle. Ma una visione comune sulle politiche del lavoro e del precariato, dello sviluppo industriale e della scuola, dove tuttavia la mano pervasiva di uno Stato paternalista fa i conti con la ristrettezza delle risorse pubbliche. Cosicchè il riformismo della sinistra liberale oggi è diviso in almeno tre tronconi: il primo è quello che resta nel Pd, in ossequio all’educazione politica che insegna a non tradurre il dissenso in automatica frattura identitaria. E che però si paga in questa stagione con una subalternità che a taluni tristemente ricorda quella migliorista del vecchio Partito comunista.

Il secondo e il terzo troncone sono quello di Italia Viva. Che si determina da una vera e propria scissione, e quello di Azione, che invece nasce all’esterno del Pd, in un’area più ampia ancorchè meno definita. Al netto di una diversità di Matteo Renzi e Carlo Calenda nel modo di interpretare la leadership e nel metodo di fare politica, le loro piattaforme non sono percepite come ideologicamente distinte. La maggiore differenza tra i due è congiunturale: Italia Viva ha contribuito a formare e sostiene, sia pure con molti distinguo, il governo giallorosso, mentre Azione ne è fieramente avversaria.

I format qui rappresentati non contengono tutta l’offerta riformista della politica italiana. C’è per esempio una tradizione socialista che fa riferimento al riformismo liberale craxiano, ancora senza patria, dispersa tra Forza Italia e Pd. Il piccolo Partito socialista e un civismo che si esprime a livello amministrativo e che pure tramanda ormai da generazioni una rete di rappresentanza ancora capillare. Stesso discorso può farsi per l’universo radicale, tanto nella sua declinazione liberista e libertaria di +Europa quanto in quella garantista che fa riferimento all’eredità di Marco Pannella.

Un discorso a parte merita l’ambientalismo. La sua declinazione ideologica in Italia lo ascrive al fronte populista. (…) I cascami di questo radicalismo sono giunti sino a noi sotto forma di uno strisciante ma pervasivo atteggiamento antindustriale e antiscientifico in cui riecheggiano le rivolte di un certo sessantottismo contro la scienza borghese. Non a caso questa matrice rappresenta l’unico vero ancoraggio ideologico di un movimento politicamente neutro come i Cinquestelle. Un’alternativa riformista non può rinunciare a perseguire una via moderata all’ambientalismo capace di declinare la sostenibilità nello sviluppo. (…).

 Incompiute e possibilità.

I pensieri sin qui descritti, la tradizioni politiche e i soggetti che le rappresentano sono insieme una possibilità e una incompiuta della democrazia italiana. L’impegno di unificare quest’impegno in una dialettica comune, cozza contro due ostacoli: la rigidità delle singole soggettività, sintomo di una fragilità identitaria che scoraggia il dialogo e la comunione; la forma del partito personale di una parte di questi movimenti e partiti. La forza delle loro leadership è un deterrente all’incontro con le altre identità. In tutte le occasioni in cui pure si è attivato un dialogo tra queste forze, ciascuna di loro pensava che potesse essere l’altra a sciogliersi e a confluire nella propria. Ma nessuno accetterebbe una simile offerta. Queste condizioni definiscono una sostanziale immaturità delle leadership coinvolte. Anche perché nessuna di queste riesce a immaginarsi sganciata dalle sue originarie appartenenze.

Ma senza uno scatto coraggioso verso una autonomia autentica, ciascuna di queste esperienze è condannata ad essere collaterale all’universo del Pd o alla destra egemonizzata da Salvini, con il rischio di dover accettare un accordo subalterno per non essere schiacciata dalla polarizzazione degli orientamenti elettorali che precede il voto.

 La prospettiva del centro.

La prospettiva del centro è, allo stato, potenziale. Per tradursi in realtà va concimata con una tempistica diversa da quella elettorale. Significa avere il coraggio di rischiare. Di lanciarsi in mare aperto senza l’ombrello del partito di riferimento con cui contrattare le candidature che garantiscano la sopravvivenza parlamentare. Si tratta, ancora, di fare della rivalità tra le singole identità una forza aggregante ed incrementale, piuttosto che respingente e distruttiva.

Questo ribaltamento competitivo si realizza solo dentro una prospettiva spaziale “altra” rispetto all’attuale geografia politica delle forze non populiste. Vuol dire definire le forme di una sovrastruttura federativa, cioè un contenitore nuovo rispetto agli attuali movimenti e partiti, nel quale ciascun soggetto sia interessato a investire energie, per far valere in un tempo successivo il proprio rapporto di forza con gli altri.

Vuol dire in sostanza gettare le basi di un cantiere politico che conduca in tempi certi ad un congresso fondativo da cui nascerà la nuova federazione e da questa, per confluenza di tutti, un nuovo soggetto politico.

Qualcuno obietterà che si tratta di un obiettivo velleitario di fronte all’evidenza che in questa stagione il pluralismo delle idee è un fattore di rottura delle fragili identità dei partiti. Nei quali, non a caso, non esiste una sostanziale opposizione alle maggioranze dominanti poiché ogni dissenso è potenzialmente produttivo di scissioni. Ma allora è tanto più necessario lo spirito di una pedagogia che si propone di rifondare la politica attraverso la sua cultura.

Certo, a questo obiettivo concorrono in maniera decisiva anche fattori di sistema specifici, cioè assetti istituzionali e leggi elettorali in grado di stabilizzare questi processi, mentre in Italia ogni riforma dello Stato è naufragata ad un passo dal traguardo. Ma proprio per sfidare questa impasse del riformismo, che ha assunto le fattezze di una patologia cronica, è necessario tentare una strada nuova: agire sulle idee della politica piuttosto che sulle forme della democrazia.

 

Foto Barbano
Alessandro Barbano
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