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I primi risultati del progetto coordinato dalla docente di Economia dell’Innovazione dell’Università degli Studi di Salerno.
“Gli ibridi fertili? Già esistono e producono ricchezza diffusa”
Maria Teresa Cuomo: “La convivenza virtuosa in un’azienda tra business core e non core genera risultati positivi in termini di crescita di valore aggiunto e marginalità”.

di Ernesto Pappalardo

“La contaminazione virtuosa tra filiere produttive contigue è senza dubbio uno dei prioritari percorsi di crescita dal basso dei territori in grado di ottimizzare le potenzialità delle regioni del Mezzogiorno d’Italia. Siamo in presenza di esperienze ormai abbastanza diffuse che si caratterizzano per questo specifico approccio, soprattutto nel settore vitivinicolo che interagisce con le diverse tipologie di turismo”. Maria Teresa Cuomo – docente di Economia dell’Innovazione dell’Università degli Studi di Salerno – conosce bene la materia in quanto è impegnata sul campo in prima persona nell’ambito di un progetto che coinvolge 25 aziende produttrici di vino in Campania. Aziende che hanno scelto di “allargare” il proprio orizzonte di business, “traendone – spiega Cuomo – un vantaggio competitivo molto significativo”. Lo scenario che emerge dai dati che fanno riferimento al progetto-pilota in parola conferma la validità della teoria dell’”ibrido fertile” che parte dal presupposto che “il non core – sottolinea Cuomo – spinge il core”, in un gioco di specchi – aggiungiamo noi – al punto che dopo un po’ di tempo è molto difficile comprendere dove si erge il vero confine tra produzione core e produzione non core di un’azienda.

Professoressa Cuomo, l’integrazione e l’ampliamento del business con produzioni “complementari” si rivela vincente. In alcuni progetti che lei sta coordinando è proprio questo lo scenario che si ritrova di fronte?

“Devo dire che se analizziamo con attenzione quanto sta accadendo sui territori, ci rendiamo conto che esistono ambiti di riferimento produttivo – come il primario che interloquisce con il turismo – dove l’ibridazione è talmente riuscita da generare il ciclo positivo di due variabili sostanziali: la diversificazione del rischio d’impresa e l’incremento del fatturato. In altri termini, il non core – che nel caso di un’azienda agricola può configurarsi nell’attività di ospitalità, ristorazione e vendita delle tipicità enogastronomiche – ha spinto o addirittura trainato il core”.

Come spiega tutto questo?

“Credo che sia necessario prima di tutto intendersi su un presupposto di fondo: senza un’attività core capace di generare una produzione di eccellenza e, quindi, senza un core forte non si può pensare di incamminarsi su un non core di qualsiasi genere. Insomma, stiamo parlando, in ogni caso, di valorizzazione e di espansione di aziende incentrate sull’alta qualità delle proprie produzioni”.

E’ particolarmente interessante il confronto che lei ha già effettuato sulla composizione del fatturato delle aziende che  hanno dato vita a queste ibridazioni.

“Sì, è vero. Il ritorno è di tipo economico e finanziario, non solo di immagine o di reputazione. Nel caso delle 25 aziende che abbiamo monitorato nell’ambito del progetto incentrato sulla produzione vitivinicola, emerge chiaramente un’inversione della composizione del fatturato. Nel 2015 la produzione vinicola ha inciso per il 60%, mentre nel 2016 le attività più in generale definibili di tipo turistico sono balzate dal 40 al 60% invertendo il peso sul fatturato. E va aggiunto che i fatturati delle 25 aziende analizzate sono cresciuti mediamente del 20%”.

Resta ancora molto da fare per strutturare in maniera organica e non casuale questi esperimenti che valorizzano al meglio le cosiddette economie dei luoghi. Da dove partire?

“Credo che vadano sostenute le iniziative consortili o a più ampio raggio di networking, incoraggiandole e supportandole soprattutto dal punto di vista finanziario e del credito bancario. Come pure la politica di marchi di territorio sulla base di rigidi disciplinari produttivi è una strada che altrove è stata percorsa con grande successo ed incremento di business. Non va, ovviamente, tralasciato il marketing e la diffusione della conoscenza generativa da parte dei consumatori di queste realtà che puntano al miglioramento continuo della qualità dei prodotti e delle esperienze turistiche. Non è la singola azienda che può centrare l’obiettivo di una crescita sempre più ampia e diffusa. Sono i territori, i comprensori, i cluster produttivi che devono stimolare, d’intesa con il pubblico, percorsi di ampia portata con ricadute su tutti gli attori delle filiere ibridate”.

Prof.ssa Cuomo
Maria Teresa Cuomo
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