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Le parole della nostra epoca / 3
Fundraising, l’obolo nell’era del marketing
In Italia il terzo settore (da molto tempo) e il mondo politico (più recentemente) fanno “raccolta fondi”, ma la traduzione è spesso incompleta. Bisogna saper “coltivare” i sostenitori e costruirsi un patrimonio di credito e stima.

di Alfonso Schiavino

“Fundraising” è un anglicismo che viene reso in italiano con l’espressione “raccolta di fondi”, una traduzione spesso pericolosamente insoddisfacente, perché in effetti la parola originale contiene un’idea di “coltivazione” e implica un notevole apporto di tecnica e strategia. Sono varie le modalità per ottenere soldi senza contropartita materiale: dai dialogatori al 5‰, dai lasciti agli eventi. Sono vari i soggetti che “tendono la mano”, dai politici agli enti di ricerca. Questa risorsa, che è antica ma è stata “reinventata” e codificata negli Stati Uniti, poggia su altri due essenziali concetti anglosassoni: storytelling e accountability. Il primo lo conosciamo. Il secondo è abbastanza trascurato in Italia, tanto che potrebbe rivelarsi un tallone d’Achille per i “postulanti” nostrani.

Il tesoro dei politici e delle “onlus”.

Il fundraising è l’arte di generare introiti stimolando i sentimenti e gli interessi del prossimo, che sia un pubblico indistinto e/o un donatore facoltoso. In ogni caso l’obolo sarà incassato dopo una serie di attività. Esistono due mondi particolarmente interessati alle raccolte di fondi. Uno è il mondo politico. Un altro mondo comprende le onlus, attive in vari campi (ambiente, medicina, assistenza, sport e cultura) con varie forme giuridiche (fondazioni, associazioni, imprese sociali, aziende di servizi alle persone, cooperative eccetera). Gli enti locali e le scuole sono altri potenziali beneficiari. In ambito sociale sentirete parlare di “charities”, perché fa chic e perché il metodo “scientifico” del fundraising venne strutturato negli Stati Uniti alcuni decenni fa. Anche per le applicazioni politiche. E questa notizia non è necessariamente rassicurante.

Leggere i dati per programmare la strategia.

La campagna virtuosa di fundraising comincia con un documento che definisce il progetto e un “manifesto” che spiega i valori e gli intenti. Questi atti dichiarano spesso concetti altisonanti, del genere: “Sfida”, “Migliorare le vite”, “Un mondo giusto, “Welfare di comunità” eccetera. Nelle fasi successive la campagna si muove sui binari del marketing. I manager studiano l’organizzazione promotrice (per esempio con l’analisi Swot) e “mappano” le relazioni attive e l’audience virtuale. L’impostazione della strategia richiede dati esatti, perché bisogna decidere cosa chiedere, come e a chi. Le proposte possono essere confezionate per una platea di base e/o tagliate su misura per imprese e mecenati. Fondamentale è la comunicazione, in forma di storytelling, per costruire un clima di fiducia e avvincere il pubblico di destinazione.

I “mercati” della campagna.

Le entrate potenziali sono diverse: quote associative, tariffe per servizi, piccole donazioni, trasferimenti per deduzioni fiscali, impegni di aziende, sponsorizzazioni, lasciti eccetera. Una ventina di anni fa hanno assunto una nuova importanza le fondazioni bancarie. Le amministrazioni pubbliche sovvenzionano progetti mediante convenzioni e contributi. I singoli cittadini versano somme periodiche o una tantum, per esempio nel periodo di Natale. Cene, lotterie e spettacoli sono altre fonti di ricavi. Nei momenti di emergenza funzionano le megacollette con gli sms o con i concerti. Esiste un fundraising per le biblioteche. Insomma: il promotore della campagna deve pianificare i suoi flussi in base alla natura dell’organizzazione e al capitale di relazioni sociali.

La cura del donatore.

Gli strumenti del fundraising sono altrettanto vari, almeno quanto le figure professionali di settore. Ci sono gli esperti di progettazioni pubbliche, i “cacciatori” di grandi donatori e le figure di raccordo con i portatori d’interesse (stakeholder). A un livello di base operano gli organizzatori di eventi e i dialogatori: loro devono sensibilizzare le persone e ottenere gli indirizzi fisici o email, dove arriveranno messaggi e newsletter. Altri strumenti sono il telefono, le lettere e gli spot. Un tool essenziale è l’accuratezza, che tecnicamente ispira i piani di sollecitazione: bisogna ringraziare i sostenitori, raggiungerli con aggiornamenti periodici, chiedere un altro dono o proporre un’offerta incrociata. Un aspetto decisivo è la gestione delle eventuali lamentele, utili per migliorare l’assetto dell’organizzazione. Un ruolo importante assume talora il reclutamento e la motivazione dei volontari.

Accountability: trasparenza e affidabilità.

Il ciclo si conclude con attività interne ed esterne. All’esterno bisogna presentare i risultati, dettagliare la destinazione dei fondi, dimostrare che le promesse sono mantenute e in generale garantire la massima trasparenza, anche utilizzando gli open data. È quello che gli anglosassoni chiamano ”accountability”, cioè, per larghe linee, il senso di fiducia e affidabilità che un’organizzazione – di qualunque tipo – sa cucirsi addosso.

Fate la solidarietà ai poveri politici.

Una volta esistevano in Italia partiti grandi e popolari. I loro bilanci ufficiali traevano denaro corrente dal finanziamento pubblico e – ciò che più ci interessa – dalle sottoscizioni degli iscritti e dei simpatizzanti. Poi i partiti sono diventati liquidi, fino a sciogliersi nei movimenti se non proprio nei leaderismi locali. Il finanziamento pubblico diretto, prima “derubricato” a rimborso elettorale, è stato abolito con la legge 13/2014. Ora i cittadini possono sostenere i partiti con il 2‰ e con le erogazioni liberali, mentre alcuni soggetti politici creano fondazioni e think tank, strutture che devono rendere poco conto circa la provenienza e l’uso del denaro.

Due errori dei partiti.

Più in generale, i partiti stanno ri-scoprendo la risorsa della “raccolta fondi”, ma un po’ alla carlona. Troppo spesso le campagne partono in prossimità delle elezioni e poggiano sulla “trovata” del leader o su un “senso di appartenenza” viepiù irrintracciabile. Così il meccanismo è fatalmente soggetto agli umori elettorali. Sarebbe meglio tenere un dialogo costante con i cittadini, magari costruire insieme pezzi di programma e indicare azioni puntuali da attuare una volta conquistato il potere. Poi bisognerebbe agire secondo i principi dell’accountability forniti dalla cultura anglosassone.

Clinton e il letto di Lincoln.

Però non è tutto oro quel che luccica, perfino negli Stati Uniti. È bene parlarne perché l’Italia sta adottando quel modello. Oltreoceano il fundraising è molto utilizzato anche per la politica. Almeno sulla carta i candidati possono strategicamente preferire una massa di piccoli versamenti oppure una ristretta cerchia di grandi finanziatori, ma alla distanza emergono sempre le opacità. Gli scandali sono a volte pittoreschi (Clinton arrivò ad affittare il letto di Lincoln) e a volte inquietanti. Un giornalista fece un esperimento dopo un’elezione presidenziale: individuò i 10 principali finanziatori del candidato vincente e le prime 10 leggi promosse dal nuovo governo. Trovò una coincidenza quasi perfetta.

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