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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Come cambia il modo di gestire quello che resta in ogni caso un rituale collettivo.
Estate, si mangia e il mondo (quasi) si capovolge
Senza cibo - molte volte criticato, osteggiato o comunque non valorizzato - tutto si complica, mentre in sua presenza diventa naturale prestare attenzione e farsi parte attiva (anche piccolissima) di ogni evento che accade.

La moda delle mode, il cibo che travalica luoghi storici e che si espande in maniera abbastanza smisurata, è ormai sotto gli occhi di tutti. Esistono, è vero, le inusitate attenzioni a chiarire a tutto e a tutti che il troppo è sempre un errore, ma, di fatto, predomina il senso dell’attesa. Per cosa? Per un pranzo particolare, per una cena di inusitata eleganza, per un aperitivo particolarmente interessante. La verità è, insomma, che la mente è rivolta al mangiare o al non mangiare, ma sempre in una cornice particolare, degna, cioè, di attenzione e di contestualizzazione. Insomma, se è vero che non occorre per forza cenare – o, in ogni caso, pranzare o fare colazione o prendere un aperitivo – è assolutamente vero che è necessario presenziare. Sì, presenziare sul posto dove il cibo accrediterà la gente, senza stare a guardare se mangerà o meno. Se abbiamo per strada pezzi (anche intelligenti) di analisi del contesto – piatti, pietanze, tendenze, numeri eccetera eccetera – è anche vero che abbiamo ingigantito la volontà di assomigliare a un popolo che sul cibo si interroga, si chiede le cose, fino a fare finta di capire ciò che, invece, non solo non capisce ma non riesce nemmeno a spiegarsi.

Restano, però, le tavole, i discorsi, i ragionamenti, le chiacchiere. E restano i “grandi” della tavola che ci provano a prescindere. Iniziano a propendere per una tesi piuttosto che per un’altra, senza rendersi conto che la maggior parte delle persone è la perché altrimenti è considerata assente, lontana da dove accade l’evento.

Ecco, in verità, il cibo (o il non cibo) ha assunto le caratteristiche sostanziali di tutte le altre cose e continua a conseguire un “illimitato” successo perché è diventato il punto di riferimento negli spazi del tempo contingentato (o che sembra sempre tale) delle vacanze. Senza cibo – ma sia chiaro, molte volte criticato, osteggiato o comunque non valorizzato – tutto si complica, mentre in sua presenza diventa naturale prestare attenzione e, in ogni caso, farsi parte (anche una piccolissima parte) attiva di un rituale collettivo.

E’ un dato di fatto che prende forma sia nei piccoli che nei grandi eventi, mentre intorno cambia – assumendo mille sfaccettature diverse – il contesto socio/culturale, si palesano in forme diverse tutte le cose organizzate per ben figurare. Sembra quasi che ogni piccola nota di scena sia stata pensata per creare attenzione, per attivare mille interrogativi, per fare parlare le persone tra di loro. E, invece, molte volte occorre convincersi che le persone parlano tra di loro per delineare un orizzonte, un limite intorno al quale ci sono anche loro, che esistono e che in quel contesto sono ben presenti.

Insomma, mentre il cibo prende forma – e non si sa bene quanti sono tutti quelli che in un modo o nell’altro si sono attestati intorno ad esso – diventa ancora più chiaro che, ormai, non ha più alcuna importanza discutere o parlare, se è buono o non è buono, se ne valeva veramente la pena o se tutto è stato cucinato per riempire e per dare risposte alla tanta gente che sicuramente era lì per degustare.

E’ tutto chiaro: è estate, come si diceva, e tutto ha un valore. Anche il valore di non avere valore.

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