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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

E’ questa la forma di “cambiamento” con la quale convivere e, in buona sostanza, progredire.
Ecco (forse) la “nuova” ricerca di occupazione
Il lavoro non appare più confermarsi predominante e caratterizzante nel corso degli anni per come è, ma si evolve (o involve) “mese per mese”, “stagione per stagione”.

La domanda è abbastanza semplice: ma siamo sicuri che le qualità personali portano lavoro? Ci muoviamo nell’ambito delle piattaforme finalizzate ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta di occupazione, che  continua a essere molto “temporalizzata”, quasi sempre non a tempo indeterminato. Domanda che persiste nell’esprimere, cioè, grande attenzione all’aspetto della durata del rapporto: più recentemente, però, non solo da parte di chi offre lavoro, ma anche – sorprendentemente (?) – da parte di chi lo cerca. Occorre – è ben chiaro – affrontare a fondo la questione che si sviluppa in vari ambiti di riferimento, ma è già abbastanza ben delineato il quadro più attuale, che ci porta a tenere conto in maniera più frequente, anche delle fasce che mirano a redditi medi (se non del tutto bassi) per “accendere” una scia costruttiva in fase di inserimento. In altre parole, sebbene l’offerta sia articolata per contenere il costo delle prime operazioni – assunzioni a tempo determinato, appunto – va tenuto conto che anche la domanda appare propensa ad accettare questa impostazione soprattutto in base ad una determinante sostanziale: la “compressione” del tempo da destinare al lavoro preso in considerazione. Se “destino” poco tempo al profilo occupazionale, accetto – meglio: devo accettare – una serie di variabili: compressa retribuzione e incertezza del futuro, ma sono aspetti di cui il lavoratore tiene conto e, in qualche modo, valuta con attenzione perché “coerenti” con il suo “progetto”, senza dubbio non del tutto in sintonia con la forma di prestazione che si va a rendere disponibile.

Perché sta accadendo quella che è possibile definire “strutturazione di un precariato già vitale e propositivo”? Perché decade la ricerca del lavoro solido e non itinerante? Sono molte le risposte proponibili, a cominciare dalla più pratica: ricerca di un immediato ritorno economico da parte del lavoratore e di chi lo offre, anche se giustamente si insiste sulla necessità dell’efficienza operativa da ricondurre a questo “pezzo” di manodopera che entra nel circuito da gestire.

Siamo, quindi, in presenza di diverse aspettative che hanno preso forma senza delineare, al momento, uno sviluppo certo delle varie opzioni messe in campo. Per essere più chiari: l’azienda potrà senza dubbio dismettere tale tipo di rapporto, ma che cosa otterrà nel medio e lungo periodo? Il lavoratore – con competenze di vario genere, spesso più complesse di quelle richieste – a parte il “residuale” compenso, in quale dimensione reale si va a porre? Prende tempo e si fa retribuire mentre cerca altro o, più semplicemente, sceglie la “logica del momento” e per lui va bene così? Il sistema produttivo siamo certi che intraprenda la strada giusta o, in realtà, prova a gestire al meglio la fase più immediata?

In realtà, nella ricerca dei singoli interessi – la prevalenza del tempo determinato spiega bene quale impostazione va avanti – si disperde il valore che è (era?) determinante: il sistema economico, sociale e produttivo, assiste (ma resiste?) alla corsa di tutte le parti in campo che cercano una redditualità destinata a ripristinarsi, almeno in un preciso periodo di tempo.

Il momento attuale è proprio così, il lavoro non appare più confermarsi predominante e caratterizzante nel corso degli anni per come è, ma si evolve (o involve) “mese per mese”, “stagione per stagione”.

E’ questa la nuova forma di “cambiamento” con la quale convivere e, in buona sostanza, progredire (?).

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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