GLOCAL di Ernesto Pappalardo »
Trump insiste, abbastanza incurante delle conseguenze profonde e non prevedibili che il “gioco” continuo su dazi e contro/dazi – ben al di là dell’effetto (devastante) economico vero e proprio – ha di fatto messo in campo, distruggendo in tutto e per tutto una consolidata collaborazione interattiva tra Ue e Usa fino a mandare a farsi friggere uno dei collanti principali emerso (incrollabile) per anni e anni dalle macerie della seconda guerra mondiale: lo spirito atlantico che permane indenne, o permaneva indenne, fino a qualche giorno fa, nella scaletta di valori fondanti di intere generazioni di una politica che si collocava, convinta, bene al di là dell’attuale balaustra del tutto inutile, di fronte al disastro apocalittico di due guerre che sembrano a tratti un racconto, un racconto che andrà avanti in qualche modo, senza più un freno valoriale che non evochi la pura e semplice, ma inaccettabile forza bruta e dominante. In altre parole, siamo nettamente tornati indietro, non c’è che dire, e il fronte europeo si trova a fare i conti anche con un Italia che trascrive un’immagine di sé sconsolante e appesa a numeri freddi ma consistenti che abbiamo già troppe volte indicato (solo per dire: 3.000 miliardi di euro di debito, che continua a salire), ricevendo la sensazione che, in fondo, possono anche non servire a nulla, se il mondo, non solo cammina tutto al contrario, ma non se ne frega affatto di trovare/ricercare il verso giusto, per continuare a sperare in una direzione che promuova sul serio la pace, la concordia, lo sviluppo vero e proprio, senza lasciare troppe persone (per quanto possibile) – persone – indietro. Fatta questa sostanziale premessa, è necessario ribadire alcuni concetti-base con i quali nessuno vuole, a quanto pare, trovare la forza, fino in fondo, di confrontarsi. E’ prioritario tenere conto che Ue e Stati Uniti hanno fatto pochi progressi nel tentare di ridare stabilità (vera) al commercio: la maggior parte dei dazi sull’Ue non saranno rimossi, perlomeno immediatamente. Gli Stati Uniti avrebbero finora respinto di mettere da parte le tariffe sui beni industriali, incluse le auto. Ma Washington non avrebbe rinunciato a sottolineare che alcuni dazi potrebbero essere compensati con un aumento degli investimenti e delle esportazioni. Per dire, la Cina ha sospeso le esportazioni di terre rare pesanti e magneti, componenti cruciali per settori strategici come quello automobilistico, aerospaziale, dei semiconduttori e della difesa. Le spedizioni, per capirsi, sono (sarebbero) ferme in numerosi porti cinesi, in attesa di un sistema di licenze che escluderebbe, per esempio, le aziende militari statunitensi (fonte New York Times). Ma è prevalentemente necessario interrogarsi su alcune notizie che chiariscono come le scelte di Trump siano davvero non comprensibili. Per esempio, i Ceo delle maggiori istituzioni finanziarie americane non tengono più nascosti dubbi e perplessità sul vertice della Casa Bianca. Dopo il 2 aprile – l’annuncio dei dazi – i mercati sono tornati alla pandemia di Covid e alla crisi finanziaria del 2008. Il presidente Trump ha ritenuto necessario ripetere (con una ciclicità da campagna elettorale) che le misure attivate dal suo governo – politiche dei dazi, tagli al budget federale – sono in campo per il bene degli Usa. Ma non hanno rassicurato affatto, a quanto sembra, perché chi dirige quotidianamente l’economia è stato costretto ad interrogarsi. E Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan Chase, per esempio ha più volte sottolineato le distanze evidenti tra le alleanze economiche degli Stati Uniti sorprese dalle “nuove” politiche economiche di Trump. E Dimon ha già ribadito che il mercato “naviga a vista. “L’economia sta affrontando notevoli turbolenze, anche geopolitiche, con potenziali aspetti positivi dalla riforma fiscale e dalla deregolamentazione e potenziali ripercussioni negative dai dazi e dalle guerre commerciali, un’inflazione elevata, enormi deficit fiscali e prezzi delle attività ancora piuttosto elevati”, ha spiegato Dimon, che ha fatto parte del board della Federal Reserve Bank. Come pure altri esponenti di primo piano del management Usa hanno richiamato un concetto evidente: le politiche trumpiane saranno all’origine di “una continua volatilità e incertezza”. In estrema sintesi, forse ha già anticipato tutto Larry Fink, Ceo di BlackRock. Il manager di uno dei maggiori gestori patrimoniali al mondo ha sottolineato che gli Usa sono “molto vicini, se non addirittura dentro, a una recessione”. Ci sarà “ un rallentamento, finché non ci saranno più certezze”. Insomma, siamo tutti appesi a un filo, è bene saperlo. Qualcuno si aspettava anche questo?

Le conseguenze del neo-protezionismo Usa