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I numeri dell'economia »

La formazione di un sapere comune sui beni connessi al mondo delle imprese.
Come il coronavirus può “illuminare” l’uscita dalla crisi
Benedetto Cotrugli, nel 1458, suggerisce a colui che intende «arricchirsi con onore» poche, essenziali doti: cultura, equilibrio e onestà, tanto nella vita privata quanto nella sfera pubblica.

di Pasquale Persico

Ho più volte accennato al tema della quinta urbanità come prospettiva di ricerca per una nuova infrastrutturazione del territorio di area vasta (ecoregioni e macroregioni europee come riferimenti istituzionali). La crisi politica e sociale sopraggiunta, legata alla pandemia in campo, mi costringe a fare una riflessione più larga ed articolata, sognando di sapere ancora attingere dalle pause che non ho potuto vivere in questi giorni sulla secca di Acquafredda (Maratea). Non potrò approfittare del mio pensiero ermetico di economista sullo sviluppo delle città e cercherò di raccontare (in più settimane) delle storie che  mettono insieme quattro concetti chiave: concordia, rispetto, reciprocità (civiltà), plurale (visione). Si tratta di simulare di potere andare ad Assisi per l’Economy of Francesco (26-28 marzo) allo scopo di ri-pensare gli attuali paradigmi dell’economia, della finanza, e dell’umanesimo contemporaneo. Mettere insieme Marx e Papa Francesco Papa non sarà facile.

La prima storia.

La prima storia parte da un imprenditore visionario del Cilento, Bruno Deconciliis, e dal chicco d’uva, e riprende il tema di Papa Francesco, relativo ai piloti della formazione di una cultura sui beni comuni connessi al mondo delle imprese. Ebbene, come «ben fare e dirittamente» svolgere l’attività imprenditiva e commerciale? Si tratta di immaginare un  uomo o una donna, soprattutto, che sappia  orientare la propria iniziativa a favore de «lo bene comune». Benedetto Cotrugli, nel 1458, suggerisce a colui che intende «arricchirsi con onore» poche, essenziali doti: cultura, equilibrio e onestà, tanto nella vita privata quanto nella sfera pubblica.

Nella dottrina sociale della Chiesa è centrale, ad esempio, l’elogio della libera iniziativa e dell’imprenditore: la prima, definita come l’«espressione dell’umana intelligenza e dell’esigenza di rispondere ai bisogni dell’uomo in modo creativo e collaborativo»; l’altro, letteralmente è “colui che prende su di sé”, assumendosi il rischio della competizione economica e ponendosi al «cuore di quella rete di legami […] che caratterizza la moderna realtà di impresa» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa).

Ebbene, Bruno Deconcillis, ben 25 anni, fa nascere l’associazione dei viticoltori indipendenti per prospettare la necessità di non perdere il rapporto di accumulazione con la conoscenza diretta rispetto alle mille esperienze delle loro storie e sprona tutti a cercare  un rapporto con il mercato,  bastevole,  cioè in grado di mantenere una relazione equilibrata  (concordia) con i collaboratori in formazione, rispettando le loro individualitàfino a creare un clima, appunto, di reciprocità collaborativa (civiltà), orientata anche ad accettare perfino la visione straniera (plurale e non alcolica).

Rifiuta di  crescere come azienda vinicola che sale di scala produttiva, per poter  perseguire la moltiplicazione delle esperienze in più direzioni. Questa scelta lo fa progettare nuovi modelli di espansione del suo amore per il chicco d’uva in modo da riconoscerlo come espressione della pluralità delle occasioni da connettere al potenziale dei luoghi.

In un acino d’uva troviamo fino a quattro vinaccioli, che contengono oli e tannino in piccole quantità. Il primo strato che copre i vinaccioli è pieno di sostanze albuminoidi, cremortartaro ed acidi liberi, non zucchero. Il terzo stadio che avvolge il tutto, grosso e liquido, contiene molta acqua e la componente importante di zucchero, con altri sali, acido tartarico libero. Poi un altro strato altrettanto importante,  prima del chicco con la sua energia colorante.

L’acino, quindi, si presenta come fonte di conoscenza e diviene l’indagine da fare nel contemporaneo. Fonda l’Ateneo dei Vini Erranti a Torchiara ed aggrega laboratori di ricerca a partire dalla piccola vigna cresciuta in disordine accanto al Palazzo Deconciliis, non suo ma di diversa famiglia avellinese.

Altre esperienze ribadiscono la sua volontà di non abbandonare la strada di moltiplicare i produttori indipendenti per dare al vino-prodotto la qualità di bene relazionale complesso.

La storia  si sposta a Cairano (Av), dove  porta con sé l’intrapresa Fabrica del vino Arcobaleno, ospitando chicchi di buon uva errante, selezionati sul presupposto della reciprocità e della concordia. Sviluppa con le comunità aperte rapporti di nuova umanità, e dialoga  con operatori internazionali desiderosi di cambiare la comunicazione del loro prodotto commerciale.

Il 20 maggio 2020 – coronavirus permettendo – nel  Teatro  di Pietra della Piazza Franco Dragone i chicchi d’uva del Palagrello Alois, trasformati in vino, si esibiranno nella comunità plurale convocata per l’occasione. Verranno richiamati  i temi della Concordia (ed il tema del buon Governo del quadro del Lorenzetti, lezione Remo Bodei su google), del Rispetto per l’altrui lavoro, della Reciprocità come antidoto al razzismo ed all’esclusione per far crescere la Pluralità come pensiero necessario.

La cultura d’impresa.

Nel racconto on line di Fabrica del vino Arcobaleno, la cultura d’impresa prende corpo attorno a quel patrimonio immateriale che conferisce l’originale status di «bene di interesse comune» e ci dice che “il saper-far-bene per competere, grazie alla ricerca e all’innovazione di prodotto e di processo, e la propensione a guardare avanti, come orientamento al futuro che evita di compiacersi di quanto si è già realizzato, si uniscono al coraggio e all’intraprendenza, alla genialità e alla costanza, all’abnegazione e alla temperanza: tutto questo è cultura d’impresa”.

Aggiungerei io: un ponte verso la quinta urbanità.

 

Foto Pasquale Persico
Pasquale Persico
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