GLOCAL di Ernesto Pappalardo »
Lo spettacolo americano è sempre fonte di immaginazione, che si propaga, chiaramente, ai mille aspetti convergenti, sì convergenti, con lo scenario, sempre acceso, della politica italiana, ormai avviata, mestamente, verso la piena valorizzazione del carrierismo vincente e determinante nelle mille prospettive che si affacciano, pronte a ripiegare in base alla convenienza delle leadership dominanti.
Dopo le tante critiche che si sono susseguite con quanto accaduto negli Usa, dove è apparso subito evidente chi ha vinto e chi ha perso – anche dal punto di vista geografico, che in realtà riflette una conformazione socio/geografica ineccepibile – e che le precise responsabilità dei dem restano sul piatto delle sconfitte conquistate con pieno valore da un leaderismo, questo sì, del tutto fuori dal tempo della storia che fagocita ogni cosa. Occorre riconoscere il cambiamento, anche quello che non può piacere al progressismo, ai valori che incrociano quello che accade, che respingono solo una pare di tradizionalismo. Trump ha vinto solidamente, potendo ribadire quello che pure appare, magari, già superato, una specie di cupola già pronta a stabilire, così sembra, gli spazi, i luoghi, le politiche americane, che si compiono disegnando non lo spirito americano, ma l’obiettivo americano, l’interesse americano, il principio americano. E respinge anche solo l’idea politica dell’emancipazione della storia sociale che in America appare destinata a cogliere tutta la tradizione che torna, apparentemente (è chiarissimo), indietro.
Ecco, abituiamoci, noi europei, a guardarci intorno e a convincerci che dobbiamo pensare prima di tutti a noi stessi, non in senso egoistico – troppo bravi in questo gli americani, in generale – ma dal punto di vista dell’interesse primario generale, esteso, che abbraccia non soltanto la configurazione dei singoli Stati, ma la conformazione delle alleanze, almeno, continentali, per non rimanere schiacciati nella padella di Stati più grandi che operano (ed opereranno) sempre nella logica dell’interesse proprio, che resta un interesse forte e pronto a battersi con tutte le opzioni disponibili. Il trumpismo, che specula prima di tutto sull’immagine primaria che va a combattere in ogni dove, apre una partita fuori dal tempo, ma che può contare su una cittadinanza che si è sentita popolo, nella sua parte più estesa, in America.
E di fronte a questi scenario, noi rimaniamo a chiederci, quasi senza crederci troppo, se noi, invece, in Italia, abbiamo regole un po’ diverse. Insomma, se siamo veramente lontani da questo tipo di America. In fondo, siamo l’Italia. E l’America è l’America. Due mondi un po’ diversi.
Ernesto Pappalardo
Trump, il trumpismo