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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

Una grande confusione regna ancora in quello che resta del partito un tempo erede della sinistra.
Capitale/lavoro, la bussola rotta del Pd
L’incredibile mutazione genetica di una forza politica che non riesce a ritrovare la strada smarrita dopo avere perso consenso e voti nelle fasce di popolazione ora in attesa del reddito di cittadinanza.

E’ un problema di contenitore o di contenuti? E’ un problema di rinnovamento della classe dirigente o di ricostruzione di una leadership autenticamente espressa dal basso senza intermediazioni dall’alto? Insomma, di quale male soffre veramente il Pd? Nello “spiazzamento” dei partiti tradizionali e nel momento dell’ondata di “reazione” ad una “rivoluzione” riformista che in Italia (ma non solo) si è travestita da sinistra per attuare riforme di destra, che cosa resta dell’identità che un tempo fu possibile definire socialista (e democratica)? Difficile dare risposte, soprattutto se la prospettiva è quella che si intravede dai territori del Sud. Difficile immaginare un percorso quando la confusione dei ruoli e delle interpretazioni dei ruoli è massima. Difficile immaginare qualsiasi ipotesi di rinascita di un partito completamente svuotato di partecipazione “non indotta”, di partecipazione legata a passioni civiche e voglia di rimettersi a pensare e a  macinare politica.

Naturalmente, questa non è una problematica soltanto del Pd, ma è un fatto che tutte le galassie di sinistra (ha ancora senso usare questa terminologia dal punto di vista delle categorie delle politica?) intorno al Pd non si fanno percepire in senso aggregativo, ma, in larghissima parte, solo in maniera divisiva. Come pure è un fatto che molto dell’elettorato in uscita dal Pd (verso i 5Stelle, ma anche, incredibilmente al Sud, verso la Lega) appare ancora molto disorientato e quasi predestinato ad auto-esiliarsi nel maxi-parcheggio del non voto.

Molti anni fa si sarebbe potuto affermare che al Pd non è mancato il messaggio – anzi, questo c’è stato ed anche abbondante, anche se del tutto sbagliato – ma è venuto meno soprattutto l’idea del percorso, del viaggio, dell’Itaca da raggiungere a tutti i costi in quanto valore sostanziale, a prescindere dal risultato finale.

Insomma, gli eredi di quella che è stata la sinistra (non solo, quindi, il Pd) hanno perso per strada la componente più importante per il suo popolo (e ben oltre il suo popolo): il progetto di cambiamento. Questa suggestione ora è saldamente in mano a Di Maio e Salvini, che hanno avuto l’abilità di impadronirsi della più grande utopia intergenerazionale di tutti quelli che a vario titolo si sentivano parte del popolo che votava per un’alternativa. Di quel popolo che non si poteva identificare con il capitale – errore storico del renzismo che solo per questa connotazione se e quando andrà in archivio non potrà che collocarsi al di fuori del perimetro della sinistra – ma, evidentemente, solo con il lavoro. Come ha ampiamente dimostrato il voto del 4 dicembre: quanti e quali danni ha prodotto il “Sì” degli industriali è ancora presto per comprenderlo a fondo dalle parti di quello che resta del Pd.

Naturalmente, la rissa permanente e l’incapacità di mettere da parte le lotte di potere – per “comandare” in un partito che, vale la pena di ricordarlo, in questo momento “pesa” la metà (forse) della Lega in termini di consenso elettorale – non lasciano spazio all’ottimismo.

Ma proprio quando la confusione aumenta sotto il cielo della politica italiana e dei tanti micro-potentati che ancora si aggirano forti nei territori, non si può che rilanciare l’unica parola d’ordine che è in grado di rimettere in moto i meccanismi della democrazia: partecipazione. La gente di buona volontà non manca e risponde alle chiamate che non sanno di opportunismo o di trasformismo di piccolo cabotaggio. Forse, se il Pd ripartisse da un congresso vero, provincia per provincia, come si faceva una volta – senza risultati preconfezionati a tavolino – non ci sarebbe da perdere troppo tempo per ritrovare la strada giusta. In fondo il percorso è semplice: il lavoro – non il capitale – è l’unico punto cardinale da tenere a mente per riprendere la rotta. Semplice, addirittura banale. Ma vallo a spiegare a chi è rimasto a piedi e ora spera nel reddito di cittadinanza.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

@PappalardoE

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Parola-chiave? Partecipazione
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