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Il Punto di Arpocrate. Riflessioni sul decreto del presidente della Regione Campania sulla costituzione del tavolo dei protagonisti delle aree interne.
Braudel, l’Europa e la civiltà materiale
“Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi di riferimento dove lo sviluppo sia poggiato anche su movimenti plurali che chiedono diritti immateriali”.

di Pasquale Persico

Braudel ha dato con i suoi studi massimo risalto a quella che si  chiama “civiltà materiale”, cioè i modi lavorare, di scambiare, di mangiare, di abitare, di vestire, di riprodursi degli uomini e delle donne. La lettura di questa sua opera, ricchissima di dettagli e di riflessioni illuminanti, permette di fare un viaggio nel tempo e nello spazio, immergendosi quasi dal vivo nelle “strutture del quotidiano” degli europei, degli asiatici, degli africani, degli americani vissuti in epoca moderna, dal Rinascimento agli albori della Rivoluzione industriale. Pisacane, invece, nelle brevi pagine del suo testamento, nutre sfiducia nell’adesione allo statuto Albertino e vede l’insidia nell’allargamento del mercato proprio nel miraggio di una civiltà basata sulla evoluzione materiale. E, quindi, giunge a proporre la rivolta come emancipazione della mente, presupposto per sentirsi uomini e donne a civiltà plurale, con la sussidiarietà come  principio fondante delle nuove comunità aperte.

Il decreto del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca sulla costituzione del tavolo dei protagonisti delle aree interne sembra voler tenere insieme i due approcci. Da una parte costruire una soggettività istituzionale capace di reclamare per le aree interne della Campania le cosiddette infrastrutture civili del quotidiano, cioè  i servizi essenziali garantiti dalla costituzione. Il tema dello spopolamento è fortemente legato – oltre che alla mancanza di occasioni di reddito che le aree interne non garantiscono ai residenti –  alla  potenziale sicurezza di potere usufruire di servizi con standars adeguati a quelli delle aree urbane. La grande crisi dello stato sociale investe proprio questo diritto all’accesso ai servizi fondamentali – scuola, sanità, mobilità – oltre che l’accesso efficace alle reti idriche, dell’energia e di trasmissioni dati nell’ambito delle nuove connessioni immateriali.

Dall’altra parte permane il  dubbio che le modalità di costruzione del consenso su questi temi scontano storie pregresse che hanno escluso i processi di sussidiarietà attiva, l’unico strumento vero di formazione di una capacità civica capace di reclamare diritti  e non scambi di opportunità materiali.

Il “nodo” non può essere sciolto senza una visione larga sul tema delle aree vaste e senza la rimozione del ritardo con cui si agisce in Italia ed in Campania. In particolare,  il tema delle aree metropolitane e delle città urbanizzate e del come  viene affrontato,  segnala il ritardo nel concepire una politica economica per la città e l’altra città (periferie ed aree interne) efficace, una politica appena accennata nel Def, ma assente nei dibattiti e nei programmi relativi al futuro dell’Italia e dell’Europa.

Si parla delle Infrastrutture Green e si dimentica che le infrastrutture complesse ed aperte – che hanno accompagnato lo sviluppo delle civiltà – sono state le città, in aree vaste di riferimento da cui attingere le risorse per la manutenzione del del quotidiano.

La terza missione delle Università e dei centri di ricerca dovrebbe tentare di sciogliere questi nodi, allargando i temi della ricerca applicata, ancora in ritardo nel definire le modalità di selezione delle infrastrutture green strategiche, cioè in grado di produrre effetti sulla produttività totale del sistema Italia, connesso alla prospettiva delle macroregioni europee.

L’adunata delle istituzioni che formeranno il tavolo delle aree interne rimane comunque un occasione per costruire un’ipotesi nuova rispetto al tema delle infrastrutture del quotidiano, sperando che i giovani del Mezzogiorno diventino loro stessi attrattori di nuovi residenti in grado di cogliere le opportunità di una potenziale ancora da inventariare e da riconoscere come capitale da strutturare.

Abbiamo bisogno di  nuovi paradigmi di riferimento dove lo sviluppo sia  poggiato su movimenti di civiltà plurale che chiedono diritti immateriali accanto a quelli dell’emancipazione materiale. L’Europa appronta la nuova storia dei continenti con poche risorse disponibili, ma il conto della spesa viene fatto solo in euro. Una metodologia innovativa potrebbe rifare l’inventario del potenziale riclassificando i beni immateriali disponibili fino ad allargare la mente della nuova Europa, continente plurale ed aperto, al confronto per l’evoluzione di una nuova storia dei continenti stessi.

 

 

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