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I numeri dell'economia »

Il Censis registra l’emergere “di un nuovo rancore sociale e generazionale dei più giovani contro i più anziani”.
Bonus-nonni, oltre la logica dello Stato paternalista?
Prende forma l’incentivo all’esercizio di una affettività relazionale che, invece, prescinde, e deve prescindere, da ogni condizionalità meno che mai monetaria? Perché è questo il punto che desta perplessità economiche e di ordine etico. Due interrogativi che spingono dritto a cercare di capire che tipo di società post virus stiamo costruendo.

di Mariano Ragusa

Mance pubbliche in attesa di progetti – necessari e urgenti – che con ogni probabilità non avranno il tempo di vedere la luce. Mancia pubblica è il neonato bonus nonni, conversione, nel nuovo Decreto Rilancio, del bonus babysitter attivato dal precedente decreto Cura Italia. Cambiano cifra e beneficiari del provvedimento: da 600 euro si passa a 1.200, destinatari nonni e zii. Immutata la funzione che viene finanziata: assistenza ai minori fino a 12 anni di età, se figli di coppie che dovendo lavorare non possono provvedere alla cura dei ragazzi.

Cosa è questo bonus per i nonni? Un “regalino” dello Stato paternalista? Una via “sentimentale” per far affluire una tantum risorse nelle tasche degli italiani gettati nell’insicurezza economica del dopo pandemia? Una stampella a redditi familiari in bilico? Oppure – e su questo varrà la pena soffermare la riflessione – un incentivo all’esercizio di una affettività relazionale che invece prescinde, e deve prescindere, da ogni condizionalità meno che mai monetaria? Perché tra i tanti è questo il punto che desta perplessità dell’intera manovra legata al bonus. Perplessità economiche. E perplessità di ordine etico. Due interrogativi che spingono dritto a cercare di capire che tipo di società post virus stiamo costruendo.

Il Rapporto Censis e il rancore dei millennials.

Parliamo di nonni. Parliamo di anziani. E del ruolo sociale (produttivo?) che debbono e possono interpretare.

La categoria anagrafica è assurta ad icona del dolore nel fuoco divampante della pandemia. Sono stati loro le vittime del Covid 19. Loro i “sommersi” che hanno perso la vita e portato via con sè pezzi di memoria collettiva. Quella icona sta sbiadendo. E’ un bene che accada se significa alleggerirsi della retorica consolatoria per acquisire un nuovo senso di comunità che assegna valore e funzioni vitali a ciascuno degli individui che la compongono. Difficile, però, illudersi che si cammini lungo questa strada.

Qualche giorno prima dell’annunciato “bonus nonni”, lo studio dell’Osservatorio Censis-Tendercapital ha scrutato gli umori della società che sta prendendo forma dopo la pandemia. Il titolo del Rapporto è “La silver economy e le sue conseguenze nella società post Covid 19”. Racconta di anziani e di giovani. E registra l’emergere “di un nuovo rancore sociale e generazionale dei più giovani contro i più anziani”.

Nel dettaglio emerge che in condizioni di emergenza sanitaria, un giovane su due vorrebbe penalizzare gli anziani nell’accesso alle cure e nella competizione sulle risorse pubbliche. Il 49,3% dei millennial (il 39,2% nella totale della popolazione) ritiene che nell’emergenza sia giusto che i giovani siano curati prima degli anziani. “Un cinismo – scrivono i ricercatori – confermato da quel 35% dei giovani (il 26,9% nel totale della popolazione) convinto che sia troppa la spesa pubblica dalle pensioni alla salute, a danno dei giovani”.

La conclusione è allarmante: corre nelle menti dei più giovani l’idea che l’anziano sia “una sorta di privilegiato dissipatore di risorse pubbliche”.

Pensiero terribile. E tanti saluti al patto intergenerazionale e all’idea che i vecchi (con i loro risparmi e le loro pensioni) possono essere non un ostacolo da eliminare bensì un ponte sul quale trovare sostegno in vista di un futuro, individuale e collettivo, possibile. E’ lo scenario che si definirebbe da guerra dei poveri. Non prevale l’idea che la coesione possa far crescere il volume delle risorse ampliando il quadro delle prospettive. Si dà al contrario per scontato che le risorse sono quelle e che non si può fare altro che trasferirle di mano.

La nuova società del rancore intergenerazionale è così una società schiacciata sul presente senza traiettorie possibili verso un oltre praticabile.

L’economia degli affetti e il dono.

Domina un qui ed ora che assume a paradigma-guida l’homo oeconomicus produttore di ricchezza materiale, generatore di consumi e per questa sua condizione riconoscibile quale portatore di un valore sociale. Nonni e nonne che si rendono utili e ci guadagnano anche, ammorbidiscono quel senso comune cinico che il Censis ci racconta.

Ma ci racconta qualcos’altro. Racconta di un tentativo – del quale si fanno portatrici le politiche del governo –  di puntellare la vita quotidiana delle famiglie affinché possano rafforzare la propria funzione di ammortizzatore sociale di fronte ad una società che non ingrana in termini di crescita, lavoro, occupazione, opportunità offerte ai giovani.

E’ quello che serve? E’ quello che la pandemia ci ha insegnato? La risposta non può che essere positiva se l’orizzonte è quello del giorno per giorno. Orizzonte nel quale rientra il bonus nonni elargito con l’auspicio di farne carburante per la ripresa dei consumi.

Ma il giorno per giorno è una dimensione illusoria e talora anticipatrice del disastro.

Altre scelte realistiche.

Non sarebbe stato più serio, intelligente, lungimirante e civile, orientare da subito anche le risorse lanciate a pioggia sui bonus in un piano di asili nido e di servizi di cura delle persone (con annessa ricaduta di nuova occupazione)?

Invece si sceglie la strada di caricare le famiglie del compito di essere quello che lo Stato e la società non riescono ad essere: attori di politiche sociali.

Si dirà, però in fondo l’impegno è retribuito. Ed è una prospettiva intelligente e – lo ripetiamo – civile? I nonni sono parte importante del capitale umano di una società. Sono affettività, memoria, esperienza trasmessa, racconto delle vita per vite che hanno bisogno di essere accompagnate.

La moneta e il dono.

E’ decente applicare il metro dell’incentivo, per giunta economico, a un “lavoro” che se in una economia si riconosce è solo quella del dono. Dono non come magnanima quanto pelosa elargizione bensì come quella dimensione in cui lo scambio che istituisce si nutre di riconoscimento reciproco, esperienza vitale dell’alterità, eredità affidata e passato interrogato. In una parola: relazione umana e sociale.

Quel bonus nonni diventa così la risposta (involontariamente) cinica al cinismo giovanile rilevato dal Rapporto Censis. I nonni-cassaforte e sportello della spesa invogliati a prendersi cura dei nipoti  per 1.200 euro in più. Cominciamo a intuire che cambiamenti ha indotto la pandemia. E non si vede granché di migliore rispetto al prima.

 

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Affettività relazionale
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