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Rafforzare i pilastri dal basso, dalle fondamenta, è ancora il modo migliore per costruire il nostro pezzo di futuro.
Artigiani della nostra memoria, per fare e crescere
La “consueta” e inconsistente formula - “programmiamo, ma, quasi mai realizziamo” - avvolge ogni percorso operativo, e coinvolge, purtroppo, ogni cosa.

Viviamo un periodo particolarmente complesso, assistiamo a un costante confronto tra percorsi di breve e lunga durata. Mentre pare che prendano forma – almeno apparentemente –  i riferimenti sostanziali chiamati ad orientare il sentiero da percorrere nei prossimi cinque/dieci anni, si affacciano, invece, costanti emergenze con un potenziale di ingerenza nelle vite quotidiane estremamente forte. Solo tentare di descrivere, per esempio, le aggregazioni in campo – gli schieramenti politici che provano a contrapporsi (spesso senza accorgersi di essere già lontani dal flusso effettivo del cambiamento in atto) – si rivela un progetto culturale più che una dimensione concreta della riflessione che è del tutto necessaria in questo momento.

“Lo storico è un artigiano della memoria” (Jacques Le Goff), la citazione ci consente di affrontare con il giusto orientamento il problema sostanziale che abbiamo di fronte a noi. L’esigenza, cioè, di non perdere il contatto diretto e operativo con il succedersi degli avvenimenti, per provare – sempre, senza “buchi” di lettura o di rilettura – ad avere sotto gli occhi, con libertà di interpretazione, il quadro di quello che accade (o non accade). E’ questa l’unica garanzia che abbiamo per non perdere un’effettiva capacità relazionale con il mondo che, pure, va avanti, anche quando – come accade oggi – sono davvero in tanti a raccontarci interpretazioni particolarmente “ritagliate” in base al “messaggio” politico da mettere in campo.

La domanda che abbiamo bisogno di porci, invece, è sempre la stessa: ma come sono andate, realmente, le cose fino a questo momento e che come pare che proseguano? E verso quale sbocco si incammina la crisi economica e sociale che stiamo ininterrottamente vivendo da ben prima del fenomeno pandemico? Perché – è il caso di ribadirlo in quanto costituisce il vero elemento dissonante rispetto al contesto europeo – le tante problematiche che sono, poi, esplose, in piena emergenza, nell’ambito italiano e meridionale, in particolare, erano già, in larga parte, attive e non pienamente avviate verso la risoluzione. Anzi, in molti casi permanevano, trascinandosi da un’ipotesi all’altra, senza, ovviamente, incontrare alcuna progressiva rideterminazione delle questioni da risolvere.

A leggere con attenzione quanto si sta programmando in questo momento, ci si rende conto che la sfida è davvero enorme, che la pianificazione in campo – sostenuta da ampie risorse disponibili – è effettivamente vasta e ben inquadrata. Naturalmente, la domanda che prende spazio è sempre la stessa, un po’ ripetitiva per la verità, e riguarda la reale capacità di spesa e di realizzazione concreta delle progettualità individuate come determinanti nei prossimi anni. Le varie priorità sulle quali si intende spingere e compiere il massimo sforzo come possono essere considerate non essenziali per la nostra “sopravvivenza” all’interno dell’Ue e al di fuori di essa? Eppure, permane il dubbio di fondo: riusciremo a renderle operative e funzionali? Il discorso non è solo legato alla piena condivisione di quanto si sceglie di fare, ma si aggancia alla concreta evidenza di realizzazione, che, finora, negli ultimi decenni, non ha trovato spazio di attuazione.

In altre parole, la “consueta” formula italiana – programmiamo, ma, poi, quasi mai lasciamo prendere forma – riuscirà ad andare in pensione? La vera sfida è questa, superare, cioè, lo stato di appannamento che avvolge ogni percorso operativo, che, poi, finisce con il coinvolgere ogni cosa.

Per queste motivazioni essere “artigiani della nostra memoria” ci può consentire di guardare con attenzione alle tante oscillazioni alle quali assistiamo e di provare a contribuire, per quanto possibile, a rafforzare i pilastri dal basso, dalle fondamenta, che resta il modo migliore per costruire il pezzo di futuro a noi destinato.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

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