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GLOCAL di Ernesto Pappalardo »

I nuovi stili di vita attenti alla salvaguardia della salute hanno stimolato la nascita di filiere produttive “ibride”.
Agricoltura+cibo+turismo, modello vincente
E’ in atto un cambiamento epocale soprattutto per i territori che hanno in dotazione enormi giacimenti naturali, agricoli, enogastronomici, culturali. Ma non è semplice ottimizzare le “relazioni” tra comparti fino a qualche tempo fa non dialoganti o, in alcuni casi, in “conflitto”.

Se si prendono in considerazione alcuni indicatori che contribuiscono a definire le dinamiche dell’auto-impresa in provincia di Salerno – ma anche in tanti altri territori meridionali alle prese con l’alto tasso di disoccupazione giovanile – ci si rende conto che nel caso del settore agricolo siamo di fronte ad un processo di spinta verso l’alto molto forte in relazione alle competenze impiegate. Naturalmente, nella maggior parte dei casi, dipende dalla “riscoperta” del fattore-terra da parte delle generazioni successive al nucleo familiare originario legato alle attività di coltivazione. Ma sono molto significativi anche i numeri che, invece, fanno riferimento alle scelte dei giovani che non hanno rintracciato all’interno della propria famiglia alcuna precedente interazione con l’agricoltura o l’agro/industria. Basta, per esempio, dare uno sguardo alla parabola delle iscrizioni agli istituti tecnici che gravitano nel perimetro della filiera-agroalimentare o di quella enogastronomica, per comprendere che è in atto già da diversi anni un’evoluzione positiva rispetto alla valutazione delle professioni – oltre che della figura dell’imprenditore in senso stretto – che interagiscono con il cibo. Il percorso dal campo alla tavola – con tutti i passaggi necessari – si configura come un itinerario all’interno del quale si collocano varie opzioni occupazionali fino a non molto tempo fa quasi sempre sottovalutate o, comunque, inquadrate come non particolarmente attrattive. Oggi, invece, esprimono un appeal diverso, probabilmente anche alla luce di una rappresentazione mediatica spesso “forzata”.

Va in ogni caso riconosciuto che l’afflusso di competenze alte nelle imprese agricole – concretizzatosi, per esempio, in una grande attenzione al conseguimento delle certificazioni (e non solo dal punto di vista del metodo di coltivazione biologico) – ha generato un netto miglioramento in termini di visione e di capacità di progettare piani di crescita attraverso i quali sono diventati prioritari due obiettivi: un rapporto sempre più chiaro e fiduciario con il consumatore finale; l’urgenza di alzare il livello di competitività totale sia sul mercato interno che su quelli esteri. E’ un cambio di prospettiva sostanziale che ha potuto contare sulle nuove competenze alle quali si accennava prima e sull’innovazione tecnologica che ha reso disponibili strumenti e macchinari che consentono una diversa relazione con i processi produttivi.

Insomma, abbiamo assistito negli ultimi anni ad uno “sdoganamento” dell’agricoltura anche in termini di diffusione della cultura della tutela della terra e del paesaggio all’interno di una nuova elaborazione del rapporto con il cibo e con la natura. Una nuova elaborazione che ha creato interrelazioni tra il settore primario e le varie tipologie di turismi, fino a stimolare la nascita di filiere produttive “ibride” in considerazione di una linea di continuità nella fruizione da parte di un pubblico sempre più ampio di un “prodotto-natura” che ha un’accezione molto vasta: benessere, cibo, tempo libero. Tre ambiti all’interno dei quali è possibile rintracciare il filo rosso di scelte importanti che coinvolgono milioni di individui e di famiglie.

Resta, ovviamente, un grande lavoro da fare per recepire questa domanda di “prodotto-natura”, ma è un lavoro che può attivare molta occupazione – accogliendo numerosissimi profili professionali – e notevolissime ricadute in termini di crescita della ricchezza diffusa di imprese e territori.

E’ un cambiamento epocale, soprattutto per regioni come la Campania che hanno in dotazione enormi giacimenti naturali, agricoli, enogastronomici, culturali eccetera eccetera. E non è affatto semplice riuscire a “mettere a sistema” un modello di sviluppo a dir poco complesso come quello che deve ottimizzare le “relazioni” tra filiere fino a qualche tempo fa non dialoganti o, in alcuni casi, per certi versi in “conflitto”.

Ma è del tutto evidente, che è una sfida che bisogna vincere. Anche perché è quella con il più alto valore aggiunto di miglioramento della qualità della vita a portata di mano. E non è un fattore di poco conto.

Ernesto Pappalardo

direttore@salernoeconomy.it

@PappalardoE

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