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ABI/Crediti deteriorati in crescita per la prima volta in dieci anni. Aumento nel 2023 e calo nel 2024.

“Il rallentamento dell’economia, con elevata inflazione e innalzamento dei tassi d’interesse, e la solo parziale sostituzione degli interventi pubblici a sostegno delle imprese adottati durante la pandemia, invertono nel 2022 il trend in diminuzione del flusso di nuovi crediti deteriorati che durava dal 2012. Nel 2023 i dati saranno superiori (3,8%) rispetto al periodo pre-Covid, pur restando ben lontani dai picchi della crisi sovrana del 2012 (7,5%)”. Più specificamente: “L’estrema incertezza economica e le aspettative negative portano a stimare nel 2022 il primo aumento negli ultimi dieci anni del tasso di deterioramento del credito alle imprese, l’indicatore che esprime la percentuale dei crediti in bonis ad inizio anno che nel corso dell’anno diventano non performing. L’indice, pari al 2% nel 2021, a fine 2022 raggiunge infatti il 2,3%: un dato significativamente inferiore rispetto al periodo pre-Covid (2,9% nel 2019) ma destinato a salire nel 2023 al 3,8%, toccato già nel 2017, per poi nuovamente scendere nel 2024 al 3,4%. Si tratta di valori ampiamente inferiori ai preoccupanti picchi registrati nel 2012 (7,5%) che, tuttavia, riflettono un peggioramento che riguarda ogni settore e classe dimensionale di impresa: solo le costruzioni fanno registrare tassi di deterioramento minori rispetto al 2019, mentre, al contrario, le microimprese registrano il livello più alto di nuovi crediti in default, rilevabile già nel 2022”.

Questi i risultati dell’Outlook Abi-Cerved 2022-24 – report che ABI e Cerved “realizzano periodicamente sulle stime dei flussi dei nuovi crediti deteriorati delle imprese (dati che oltre alle sofferenze includono anche i crediti che le banche devono classificare come inadempienze probabili o crediti scaduti), con dettagli dimensionali, per settore e per area geografica”. Secondo l’analisi “il peggioramento della qualità del credito risente dell’indebolimento della domanda a cui si associa una cospicua spinta inflattiva delle materie prime e del caro energia. Inoltre, il costante innalzamento dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale Europea ha incrementato il costo del debito per le imprese, che a causa del quadro instabile non riescono a pianificare correttamente le azioni e non fruiscono più delle misure di sostegno al credito adottate durante la pandemia, ora solo parzialmente sostituite”.

(Fonte: abit.it/31.01.2023)


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