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Anticipare i temi della governance futura, articolata per macroaree, è una sfida più rilevante delle previsioni sulla crescita dell’economia.
A proposito di Edoardo Bennato, Draghi e Siniscalco
Abbiamo bisogno di vera concordia tra Stati nell’ipotizzare una nuova geografia dei continenti, riconosciuta dalla politica per andare incontro alle nuove esigenze delle popolazioni insediate e di quelle che aspirano a cambiare territorio.

di Pasquale Persico

Il giorno successivo alla lezione di Draghi al Meeting di Rimini su La Repubblica compare il titolo di un’intervista a Edoardo Bennato che dice “Fatemi Premier e vi dico come risolvere i problemi”. Per chi come me ha già scritto su SalernoEconomy,  in maggio, sul perché occorra andare oltre Draghi e Rifkin è risultato prioritario approfondire l’intervista al cantautore rock dell’“isola che non c’è”. In effetti, Bennato parte da lontano e si racconta a partire dai luoghi dove è vissuto (Bagnoli) e dove è nata la consapevolezza dei problemi accumulati dall’Italia e da Napoli in particolare, come caso emblematico di un’area metropolitana in decadenza storica, ambientale, culturale ,  economica e civile. Lui, come Erry De Luca, non trascura la questione settentrionale ed abbraccia l’intera Italia per parlare dei problemi di cui parla Draghi, che non nascono con la pandemia ma segnalano il ritardo dell’Europa e dell’Italia nel capire il susseguirsi delle questioni  che si sono accumulate a partire dagli anni Settanta.

Non a caso, Bennato parla della sua generazione, che, minacciata dalla paura delle terza guerra mondiale, oggi vede nella crisi del post-pandemia qualcosa di più infido, che offusca i cervelli ed allontana l’idea che nessuno si salva da solo, perché  è evidente che essa  inizia a distruggere l’anima di tutti. Certo, c’è il grande problema dei giovani,  della disoccupazione, dell’ambiente e della povertà, ma per Bennato  questi  problemi sono emersi da tempo e non solo da quando la finanza internazionale ha accompagnato ed accelerato lo sviluppo della globalizzazione. Il discorso di Bennato riguarda, in qualche modo,  la famiglia umana che si è diversificata in latitudine e longitudine e che solo apparentemente ha distanziato i problemi; questi appartengono ad un’unica razza che è destinata ad estinguersi se non si prende cura del suo destino come unica popolazione  che abita l’universo.

Nel suo album, del 2015, Pronti a salpare, e nel suo Girogirotondo, già mischiava le discipline; musica, economia, sociologia ed urbanistica, erano insieme e  lui cantava “Salviamo il salvabile, arrivano i buoni, ma che bella città” e diceva siamo “tutti sulla stessa barca, tutti della stessa razza, ed i cattivi sono sempre ai posti di comando”; io sono un saltimbanco ma “se non si risolvono i problemi del terzo mondo, non si riducono le differenze di ricchezza tra Toronto e Lagos, è in pericolo il benessere di tutti e non solo del futuro dei giovani. Per Bennato già nel 1973, il mondo era schizofrenico, e contraddittorio, e lui, vivendo già in un cortile cosmopolita,  ha accumulato un desiderio di libertà infinito; si è liberato dei pregiudizi, e dal Sud continua a parlare e cantare perché difendere i Sud dell’Europa e del Mondo è una missione necessaria. Come cantautore e come uomo ha difeso sempre il suo palco libero, da tribuno del mondo, come tanti altri, che sa cantare la storia dei territori abbandonati, o resi marginali, a partire dal Caso Bagnoli che nasce nel 1977 quando De Andrè , non a caso battezzò Bennato e tanti altri “I ragazzi del cortile di Bagnoli”.

Ecco, allora, la considerazione aperta ad altri contributi; un gruppo di cantanti ed autori, da tempo hanno allargato il tema della crisi sociali delle aree vaste del mondo; i temi del capitalismo finanziario da correggere sono stati sviscerati in una visione più larga dei problemi degli Stati. Riuscire, pertanto, ad anticipare i temi della governance futura,  articolata per macroaree è la sfida più rilevante della semplice agenda della crescita dell’economia, di cui parla, sempre sullo stesso giornale, Domenico Siniscalco nel presentare la lezione di etica ed economia dell’aspirante Premier o Presidente.

Certo anche Draghi ha parlato di attenzione all’ambiente, alla sostenibilità, alla scuola ed alla formazione; ha allargato i temi all’etica delle istituzioni, allo sviluppo del capitale umano giovanile, all’equità generazionale, al freno da dare all’anarchia delle decisioni, separando concettualmente il sussidio dall’investimento che guarda al futuro.

Ma sembrava che volesse parlare all’Europa da programmare in termini di nuova politica finanziaria internazionale, che è il suo saper parlare, ma la politica economica europea ha bisogno di una nuova concordia tra Stati nell’ipotizzare una nuova geografia dei continenti  riscritta in termini di geografia ambientale, riconosciuta dalla politica come potenziale capace di andare incontro alle nuove esigenze delle popolazioni insediate e di quelle che aspirano a cambiare territorio.

In definitiva, dopo aver ringraziato Draghi per la bella lezione su etica ed economia, dobbiamo rimboccarci le maniche, e cantando insieme a Bennato, parlare di ecoregioni del mondo e dell’ Europa, per rileggere il potenziale: le Euroregioni di programma possono iniziare ad individuare gli investimenti strategici capaci di ridurre il debito ecologico accumulato, che è anche un riferimento importante per ridurre il debito finanziario, il debito di equità, il debito formativo, quello sociale e quello territoriale.  Un criterio di selezione multi obiettivo non è ancora apparso nei documenti di programmazione in preparazione per il 15 ottobre, anche perché su questo argomento la visione ideologica è molto vivace; quella scientifica e programmatica in termini di governance efficace ed efficiente, che guarda al futuro, è molto poco dibattuta ed approfondita, anche quando le lezioni sono di profilo alto (vedi Draghi e l’articolo del  brillante ex ministro del Tesoro, Domenico Siniscalco, che già aveva maturato idee vicine a quelle di Bennato durante la sua esperienza presso l’Eni (in qualità di direttore della Fondazione Eni).

 

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Pasquale Persico
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